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Quello che Benigni dimentica di citare dell'art. 11 della Costituzione

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Problema di governo dello sport in democrazia liberale: è accettabile che comportamenti borderline creino una costante posizione dominante dovuta a fattori estranei al campo? Per esempio, acquisti resi possibili da alchimie finanziarie? La giustizia sportiva questo ha detto. Altro che assenza di “complici”. In alternativa, si può aspettare per diciassette anni la giustizia ordinaria. Cordiali saluti.
Vittorio Zambardino

Capisco la provocazione, caro Vittorio. Ma non si può pensare di risolvere il problema della lunghezza dei tempi della giustizia ordinaria legittimando la pratica detestabile delle condanne senza prove. Vale quando si parla di processo mediatico e vale anche quando si parla di giustizia sportiva.

 


 

Al direttore - Si torna a parlare delle nomine nelle partecipate di stato. Chiunque conosca anche superficialmente la materia sa perfettamente che né merito né risultati hanno mai contato una beata fava. In questa come in altre faccende sono altri i fattori che entrano in gioco. Può aiutare un comune sentire politico, certo. Ma fino a un certo punto. Conta molto di più far parte di cerchi e circoli e appartenenze varie. Poi se un manager è anche bravo tanto meglio, ci mancherebbe. Ma non è il curriculum che fa la differenza. Lo sanno per primi i cacciatori di teste che puntualmente vengono chiamati per selezionare curricula che nessuno mai si filerà minimamente. Così come lo sanno gli stessi manager. Ora è il turno del governo Meloni. E la vera domanda è: quante divisioni ha Giorgia Meloni? Non molte, a leggere i nomi che circolano (al netto del fatto, e pure questo fa parte della liturgia, che chi finisce nel frullatore del totonomi il più delle volte entra Papa in conclave ed esce cardinale). Il che, se fosse davvero questa la situazione, dovrebbe forse suggerire di far pendere la bilancia più dalla parte dei curricula e meno da quella dell’appartenenza. Staremo a vedere.
Luca Del Pozzo

 



Al direttore - Sta muovendo i primi passi l’istituto dell’autonomia differenziata, di cui peraltro non conosco le linee di fondo, con grandi timori delle regioni meridionali di essere penalizzate rispetto al resto del paese. Da quando esiste la Repubblica, e cioè da oltre settant’anni, non c’è mai stata nessuna forma di autonomia differenziata e ciononostante fra il sud e il resto del paese si sono venute a creare differenziazioni notevoli di tipo economico e sociale a testimonianza delle quali basta ricordare il cosiddetto turismo sanitario che vede sempre più frequentemente cittadini del sud del paese trasferirsi negli ospedali del nord per essere meglio curati. Non so se l’autonomia differenziata riuscirà a risolvere il problema dell’arretratezza del meridione rispetto al resto del paese. Di certo se non si facesse l’autonomia differenziata le cose resterebbero com’è stato finora e il meridione continuerebbe a restare sempre più distaccato rispetto alle altre regioni italiane. L’autonomia differenziata dovrebbe essere vista come una possibilità di riscatto del meridione perché, se si volesse affossarlo ancora di più, basterebbe non far nulla e lasciare le cose come stanno.
Pietro Volpi

Il problema dell’autonomia differenziata, caro Volpi, è che è solo uno spot vuoto, senza contenuti, senza indicazioni chiare, senza parametri, senza una vaga idea di quelli che potrebbero essere i livelli essenziali di prestazione, e più che disperarsi per quello che potrebbe fare, e che non farà, bisognerebbe riflettere su un guaio più grave: avere una riforma potenzialmente interessante, in grado di introdurre criteri di efficienza, ma che è fatta apposta per non funzionare.

 


 

Al direttore - Ragioni per tirare ancora le uova a Benigni, caro Cerasa?
Lucia Martini

Una, sì. Benigni, martedì sera, ha stranamente dimenticato di ricordare cosa dice la seconda parte di un articolo della Costituzione da lui citato e lui glorificato. L’articolo 11, naturalmente: “L’Italia ripudia la guerra”. Ha detto Benigni, giustamente, che “questo articolo è come un verso della poesia, è una scultura”. Ma una poesia va letta per intero e anche il secondo verso dell’articolo 11 andrebbe scolpito nella roccia. “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Anche quella seconda parte dell’articolo, che giustifica il sostegno dell’Italia a una guerra di resistenza come quella combattuta dall’Ucraina, è stata scritta non dagli amici di Zelensky, ma dagli amatissimi padri costituenti. Una poesia.

 



Al direttore - Diceva Indro Montanelli che ci sono errori che puzzano di fogna ed errori che odorano di bucato. Quello della Rai sull’affaire Zelensky non odora certo di bucato. Spero che il presidente dell'Ucraina alla fine rinunci al doppiaggio della sua “letterina” sul palco sanremese, e si sottragga alla farsa grottesca in cui rischia di essere invischiato.
Michele Magno


Con riferimento all’articolo “Urso vende a Meloni un accordo che non c’è e insulta il suo staff: “Traditori, vi caccio tutti” pubblicato l’1.2.2023, il dr. Federico Eichberg ci ha chiesto di pubblicare la seguente rettifica: “Il Dott. Federico Eichberg, nella sua qualità di capo di gabinetto del ministero delle Imprese e del made in Italy, in data 24 gennaio 2023 ore pomeridiane non era presente alla riunione presso la sede del ministero in materia di carburanti e per tale motivazione non ha potuto certamente utilizzare l’espressione ‘forza chiama i giornalisti’, peraltro non consona al proprio lessico istituzionale”.

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