Foto di Andrea Solero, via Ansa 

L'appello al governo

In Veneto il centrodestra è unito a chiedere l'autonomia: "Meloni l'ha promessa”

Francesco Gottardi

L’ultima seduta del Consiglio regionale veneto ha sigillato il triumvirato di centrodestra, senza opposizione e con il vento federalista più teso che mai. “Roma si dia una mossa, i cittadini sono stufi”

Sono stati mesi di ribaltoni, lotte intestine e travasi elettorali. Lega a pezzi e FdI in auge. Ma basta una parola evocatrice, autonomia, ed ecco che la pax veneta riappare spontanea. Solido il Carroccio, in armonia il centrodestra, accomodante il centrosinistra. Nella giornata di martedì il Consiglio regionale ha approvato la mozione del vicepresidente Nicola Finco, primo firmatario in quota Lega, su quella che da queste parti chiamano “madre di tutte le battaglie”. E l’ha fatto col botto. Ruggendo che basta, i cittadini aspettano dal referendum del 2017 e ora tocca al governo Meloni farsi carico di oneri e onori. Pena l’irredentismo.

 

Dell’ultima seduta a Palazzo Ferro Fini preme sottolineare alcuni aspetti. Primo: la risoluzione è passata con 37 voti favorevoli (le forze di maggioranza), 10 astenuti (i consiglieri all’opposizione) e zero contrari. Percentuali zaiane, appunto. In un’aula collaborante, che ha sigillato il triumvirato FdI-Lega-Fi. Almeno a livello locale: “L’autonomia differenziata fa parte del nostro programma di governo sin dal 2020 e Giorgia l’ha ripromessa in campagna elettorale”, dichiara Enoch Soranzo, capogruppo dei meloniani. Mentre Elisa Venturini, pari ruolo di Forza Italia, colpisce nel segno: “Questa richiesta non è una questione di partito, ma un elemento identitario della nostra gente”. Lontana l’eco dei grandi capi. I ministri di FdI ripetono che non ci può essere autonomia senza presidenzialismo (a contraddirli è perfino il loro coordinatore regionale, Luca De Carlo, che al Foglio aveva spiegato come l’iter legislativo per la prima sia più rapido e pertanto non debba aspettare). E Antonio Tajani, numero uno dei forzisti, soltanto pochi giorni fa ribadiva che “ogni corsa contro il tempo è da evitare e il sud non può essere lasciato indietro”.

 

Appare chiaro a questo punto come lo scollamento sia molto più intrapartito che fra i vari schieramenti. Tutto sull’asse Venezia-Roma, da una curva all’altra. “È lì che devono darsi una mossa e smetterla con ‘sta storia della secessione dei ricchi”, il coro del Consiglio regionale verso la capitale. Naturalmente l’ala più accanita è costituita dalla vecchia Liga. E proprio per questo fa specie che il padre di una delle mozioni più delicate degli ultimi tempi (il testo è stato pure modificato in corsa, dopo la ‘bozza Calderoli’) sia un profilo come Finco. Molto più salviniano che marcatiano: contrario al green pass, alle coppie gay, alle diatribe interne sbandierate a mezzo stampa. Eppure fattosi ariete, senza paura di sfondare le resistenze dei militanti del meridione o il temporeggiare del capitano: “L’esecutivo si assuma l’impegno e rispetti finalmente la volontà dei veneti. Alla premier chiediamo un rapido cambio di marcia sulle riforme in senso autonomista: occorre dotare questo paese di uno sviluppo al passo coi tempi”. Sono parole sue, ma qualunque fazzoletto verde potrebbe sottoscriverle.

 

A partire dal doge Zaia. Che insiste, batte il ferro, fa da megafono alle sue truppe. A La Stampa ha dichiarato che sceglierebbe l’autonomia anche se fosse un governatore del sud. E che a Giorgia “si deve riconoscere la coerenza e il fatto che è sempre stata di parola”. La garanzia è Meloni, dunque. Mica Salvini o Calderoli (non li cita, e quindi in fondo lo sono un po’ meno). È il segnale dell’aria che tira, foriera di tatticismi e congressi che tengono imbrigliata la Lega. Finora in Veneto la partita è in parità: due zaiani eletti a Belluno e Rovigo, due soldati di Matteo a Padova e Verona. Entro un mese tocca alle altre tre province, entro l’anno alla segreteria regionale dopo oltre due di commissariamento. Se il nuovo volto sarà un falco del federalismo o uno yes man di partito, farà tutta la differenza. Ma nel frattempo – “la politica è avvisata”, ancora Finco, repetita iuvant – la riforma autonomista dovrà avere ingranato per bene. Altrimenti la pax veneta rischia di diventare bega italica. Molto più di quel che già è.

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