Meloni ha deciso: a gennaio arriva il decreto per modificare la cabina di regia del Pnrr

Valerio Valentini

Il ministro Fitto vuole ridefinire la governance del Recovery e prepara un provvedimento ad hoc. Ma le modifiche andranno concordate con la Commissione europea, che non ammette stravolgimenti rispetto all'impianto di Draghi né ritardi sull'attuazione del Piano

A chi, tra i suoi colleghi di governo, gli ha chiesto chiarimenti, ha offerto un approccio di buonsenso. “A me non interessa che il gatto sia bianco o nero: interessa che prenda il topo”. E siccome la preda da acciuffare sono gli obiettivi del Pnrr, e i miliardi europei che ne conseguono, Raffaele Fitto s’è deciso al grande passo: cambiare la governance del Recovery. La decisione maturerà in un decreto, su cui  il ministro sta già lavorando dopo averlo concordato con Giorgia Meloni, che dovrebbe essere portato in Cdm a metà gennaio. Con tutte le incognite che una simile operazione comporta. 

L’idea in effetti circola da tempo. E anzi, Fitto ha dovuto già stiepidire le pulsioni di chi, come Matteo Salvini, aveva richiesto fin dalle prime riunioni del nuovo esecutivo un azzeramento della cabina di regia che sovrintende all’attuazione del Pnrr. “Evitiamo approcci massimalisti”, ha spiegato il ministro meloniano. Che però, se da un lato è contrario a operazioni di “pulizia etnica dei ministeri”, insomma di spoils system scriteriato, dall’altro lato è anche d’accordo con chi, a Palazzo Chigi, è convinto che “il Pd ha infarcito le strutture tecniche dei vari ministeri con persone che ora ci remano contro”. Ed è per questo che, dopo vari ripensamenti, Fitto s’è deciso che una revisione della governance sia opportuna. 

Alla base dell’iniziativa ci saranno i risultati di un monitoraggio che il ministro degli Affari europei ha avviato nelle scorse settimane: come a voler dare una sostanza di oggettività alla scelta di cambiare gli assetti. Sicuramente si interverrà sulle unità di missione istituite nei vari ministeri, che sono gli addentellati operativi della grande struttura dirigenziale che ha al suo vertice un asse che collega il Mef con la presidenza del Consiglio. E qui si viene, appunto, alla parte più delicata del progetto. Fitto è convinto che tra il Servizio centrale per il Pnrr, insediato presso la Ragioneria generale e guidato da Carmine Di Nuzzo, e la Segreteria tecnica coordinata a Palazzo Chigi da Chiara Goretti, ci sia poca sintonia. Di più: che troppo spesso Via XX Settembre agisca in eccessiva autonomia. Per questo, nel decreto che ha ridefinito le prerogative dei ministeri, a metà novembre, il ministro ha ottenuto che si specificasse che “il Servizio centrale per il Pnrr opera a supporto dell’Autorità politica delegata”. Un modo, da parte di Fitto, per accentrare su di sé le funzioni di indirizzo e controllo. Scelta non casuale, se è vero che quando – in fase di conversione parlamentare del provvedimento – il Pd ha cercato sponde nel centrodestra per ammorbidire questo passaggio, il ministro s’è attivato per evitare cambiamenti. “Serve una cabina di regia che coordini meglio l’attuazione del Pnrr con la pianificazione e la spesa dei fondi europei di coesione”, è il suo mantra. L’intervento di metà gennaio vorrebbe avere questa finalità, senza escludere degli avvicendamenti proprio alla sommità della piramide.

Solo che bisognerà lavorare con delicatezza: perché la governance del Pnrr è, essa stessa, un obiettivo del Piano. E non a caso Mario Draghi l’aveva istituita, con un decreto ad hoc a metà del 2021, conferendole una stabilità notevole, refrattaria ai cambi di maggioranza e di governo, con un mandato fissato fino al 2026. Per questo, eventuali modifiche della struttura ora andranno anzitutto concordate con la Commissione europea, in settimane di negoziazioni stringenti che riguarderanno anche il RePowerEU. E certo, l’aver conseguito tutti i 55 obiettivi previsti dal Recovery nel secondo semestre dell’anno – Meloni dovrebbe dare l’annuncio del successo durante la conferenza del 29 dicembre – costituirà un buon viatico per il governo nella discussione con Bruxelles. Ma, proprio per questo, si dovranno rassicurare i funzionari europei sul fatto che un cambio in corsa dei vertici non prefiguri rischi concreti di ritardi sull’attuazione del Piano. E questo non è scontato.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.