“Sul Pnrr decide Fitto”. Così Meloni esautora il Mef. E la mossa preoccupa Bruxelles

Valerio Valentini

La premier esuatora il Mef, ridefinendo prerogative e organigrammi della cabina di regia. Giorgetti lascia fare, Salvini s'arrabbia. L'incognita della governance che allarma la Commissione europea

All’inizio è stata più una questione di forme, pare. Le regole minime della cortesia calpestate in nome della segretezza. Insomma, il mezzo scippo di prerogative, Giancarlo Giorgetti l’ha scoperto direttamente in Cdm, a cose fatte. Era l’11 novembre, e nel decreto sul riordino dei ministeri Giorgia Meloni inserì un articolo un po’ sibillino in cui, di fatto, si stabiliva che “il Servizio centrale per il Pnrr opera a supporto delle funzioni e delle attività attribuite all’Autorità politica delegata”. E così la cabina di regia del Recovery, almeno formalmente, veniva ricondotta sotto la supervisione di Raffaele Fitto. Mossa che non solo ha indispettito il ministro dell’Economia, e più di lui i funzionari del Tesoro, ma che ha allarmato, per ciò a cui la mossa sembra preludere, anche la Commissione europea.

    

Questione di forme, anche qui, ma non solo. Perché i funzionari di Ursula von der Leyen, che in questi giorni sono a Roma per verificare lo stato d’avanzamento dei lavori sul Pnrr, hanno ancora come riferimento un documento, diramato dal Mef a novembre del 2021, in cui il servizio centrale per il Pnrr,  il vertice operativo della cabina di regia, sta in capo a Via XX Settembre. Che fosse cambiato qualcosa, nell’organigramma romano, a Bruxelles avevano dovuto desumerlo, più che altro, dal fatto che a intestarsi la titolarità del dialogo con la Commissione è stato sempre più, nelle scorse settimane, proprio Fitto. Solo che qui, per Bruxelles, iniziano le incognite che Meloni dovrà sciogliere. Perché il responsabile del servizio centrale resta quel Carmine Di Nuzzo, funzionario discreto della ragioneria generale suggerito a suo tempo da Daniele Franco a Mario Draghi, che è incardinato al Mef. Ed in questo senso che a Palazzo Chigi tendono a ridimensionare la portata della modifica degli assetti, spiegando che si tratta di una semplice formalizzazione di una prassi già in atto – “per razionalizzare i processi decisionali”, dicono – e che del resto già nei mesi passati erano emerse certe tensioni tra  tra la segreteria tecnica insediata presso la presidenza del Consiglio, e diretta da Chiara Goretti, e la struttura di Di Nuzzo.

Resta il fatto, però, che in tutti gli stati membri il ministero responsabile del Pnrr è naturaliter quello dell’Economia – e non a caso è negli uffici del Mef che nelle scorse ore si sono svolti gli incontri con gli ispettori di Bruxelles sulle riforme decisive in scadenza (su Concorrenza e Codice degli appalti). E del resto è l’Ecofin è il luogo canonico del confronto sui temi che riguardano il Next Generation Eu. E insomma è per tutte queste ragioni che dagli uffici della Commissione è emersa qualche perplessità, sulle manovre in corso a Roma: anche perché la definizione della governance del Pnrr, significativamente varata a maggio 2021 in concomitanza con l’invio del Piano a Bruxelles, è essa stessa una milestone prevista dal Pino medesimo. Modificarla imporrebbe una nuova legge; e la nuova legge, questo è il senso dell’avvertimento lanciato dai collaboratori di von der Leyen, andrebbe prima concordata  con la Commissione.

Sempre che, a sconsigliare un simile azzardo normativo, non intervenga,  prima della burocrazia europea, la politica romana. Perché a indisporre i funzionari del Mef bastava la ridefinizione di incarichi e deleghe governative. Ma la baldanza con cui, in  FdI, si lasciano scappare che “la Lega conta poco o nulla, sul Pnrr, perché tutto è accentrato su Fitto”, ha fatto il resto. E dunque Giorgetti, e ancor più di lui Matteo Salvini, ha già fatto notare, nelle riunioni governative, la necessità di un maggior coinvolgimento. Ed è vero, sì, che dell’istituzione di un ministro per il Pnrr si era parlato a lungo, in fase di costituzione del governo, e perfino coi collaboratori dell’ex premier Draghi si era condivisa questa scelta: ma che poi Fitto diventasse, oltreché responsabile del Recovery, anche titolare dei Fondi di coesione, del Sud e dei Rapporti con l’Ue, questo non era affatto scontato. E forse sarà solo per mere questioni di agenda parlamentare, ma sta di fatto che proprio i rappresentanti di governo della Lega, in una riunione ristretta a Palazzo Chigi, martedì pomeriggio hanno spiegato che no, di imbastire ora quel decreto per la semplificazione normativa che Fitto vorrebbe approvare entro dicembre per velocizzare i lavori sul Pnrr, col cantiere della manovra aperto e lo spettro dell’esercizio provvisorio incombente, proprio non se ne parla. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.