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l'intervista

“Serve ricreare un Ulivo, non evocare scissioni”. Parla Cuperlo

Valerio Valentini

"Indebolire Schlein? Voglio solo provare ad arricchire il dibattito. L'alleanza con il M5s resta imprescindibile". Parla il candidato al congresso del Pd

A convincerlo, dice, è stato “l’allarme per le sorti del Pd”, perché “dopo due sconfitte, tre scissioni e nove segretari, credo sia un dovere che la discussione affronti le cause di una crisi che in 15 anni ci ha visto perdere sei milioni di voti”. Perché davvero “il rischio che il Pd si dissolva, sul modello del Partito socialista francese, esiste: e non vederlo può confortare gli animi ma non risolve i problemi che abbiamo rimosso a lungo”. Di certo però a spingere Gianni Cuperlo a candidarsi al congresso del Pd non è stata la volontà di avvantaggiare Stefano Bonaccini, spaccando il fronte sinistro. “Questa è la critica che più mi amareggia”, risponde il deputato triestino. “Mi si può dire che non incarno la domanda di novità sul piano generazionale e del genere. Ci sta: ma che vuol dire che si spacca il fronte sinistro? C’è un congresso bizantino diviso in due momenti. Nella prima fase, quella in cui ci si deve confrontare su piattaforme e proposte del Pd del futuro, a votare saranno gli iscritti. Io voglio solo partecipare a questo dibattito, provare ad arricchirlo, dare una mano. Poi, le primarie del 19 febbraio, saranno tra le due candidature che avranno ottenuto il consenso maggiore.”. 

 

Allora forse il senso di questa candidatura, sta anche in una certa rivendicazione della sinistra d’apparato: una sinistra che ha storia e tradizione dentro il partito, dentro le istituzioni, e che dunque fatica a riconoscersi in chi, come Elly Schlein, incarna una sinistra improntata a un nuovismo movimentista, un po' woke, un po’ extra ecclesiam? “La sinistra d’apparato credo non esista più da tempo. Esiste un ceto politico, ma averlo schiacciato interamente sulle istituzioni ha svuotato il partito di risorse. Il risultato è che abbiamo discusso molto di liste e meno di bisogni sacrificando quel tanto di passione che rende la politica meno simile a una routine. Elly viene da una bella storia e allargherà il campo. A lei, come a Stefano e a Paola”, cioè Paola De Micheli, “dico che il tema del dopo non è spostare il Pd un po’ più al centro o a sinistra, ma evitare che anche una sola delle culture che lo hanno fondato scelga di andarsene perché non si sente più vista e rappresentata”.

 

Eccolo, allora, il Cuperlo ricucitore, quello che si ritrova spesso sul limite estremo del partito, ma sempre nel partito, sempre “nel gorgo”. Anche stavolta la conta rischia di essere il preludio all’ennesima scissione? “Il Pd è stata l’intuizione più coraggiosa che i tanti riformisti italiani hanno sposato nell’ultimo mezzo secolo e farò ciò che posso per evitare che quella scommessa si risolva in un fallimento. Chi immagina di poter tornare, quasi sgravati da un peso, alle case di appartenenze di prima, temo non abbia compreso in quale capitolo della storia ci troviamo”.

 

E in questo ripensarsi, davvero è utile l’approccio di chi, nel comitato dei saggi del partito, disconosce il manifesto del 2007 del Pd – quello scritto, tra gli altri, da Sergio Mattarella – descrivendolo come un inno all’ordoliberismo? “Eviterei le caricature. Quel manifesto del 2007 fu pensato prima della Lehman, prima del Covid, prima della guerra in Ucraina, prima che il mutamento climatico assumesse la rilevanza tragica di ora. Allora il punto non è disconoscere valori scolpiti e attuali, ma interrogarsi su come una forza di centrosinistra li restituisce alla società e ai conflitti aperti di ora. La popolazione che nel mondo vive in sistemi compiutamente democratici è scesa negli ultimi sedici anni dal 46 al 20 per cento del totale. Non è una buona ragione per interrogarsi su come sia già cambiato il legame tra capitalismo e democrazia? Mi piacerebbe che anche di questo si discutesse in un congresso costituente”.   

E’ tra i pochi, a sinistra del Pd, a non rimproverare a Bonaccini dei debiti col renzismo. “Criticai Renzi quando era all’apice, quando criticarlo non era facile, almeno se volevi guadagnarti un applauso, ma oggi vedo un eccesso di trasformismo anche da parte di chi quella stagione ha condiviso con ruoli di prestigio. Consiglierei un pizzico di maggiore stile e sobrietà”. E in quanto alle alleanze, cosa consiglierebbe? Resta davvero convinto dell’imprescindibilità di una collaborazione col M5s? “Davvero”. Anche con questo M5s? Con quello di un Conte che cinicamente gioca a mettere in difficoltà il Pd? “Conte sa come noi che l’avversario è la destra, immaginare di crescere nei consensi sfruttando le nostre difficoltà è un calcolo miope”. Eppure, in Lazio… “Esempio calzante, certo: qui abbiamo governato assieme e bene, rompere l’alleanza rischia di essere un regalo agli altri. Penso che come Pd abbiamo il compito di parlare alle altre opposizioni, tutte, ma sono convinto che l’alternativa alla destra non sarà semplicemente una somma di sigle. Dovrà organizzarsi nel paese e coinvolgere una rete assai più larga del ceto politico. Parlo di associazioni, movimenti, il terzo settore, le tante forme che il civismo è venuto assumendo. Fu così nella stagione migliore per noi, quella dell’Ulivo. Io lavoro perché qualcosa di simile possa rinascere”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.