L'editoriale

Cari genitori, siete voi la svolta sul Reddito di cittadinanza

Claudio Cerasa

Più gavetta, meno divano. In Italia 364 mila famiglie accettano che i propri figli, pur occupabili, si accontentino di ricevere il sussidio. E se fossero loro, i genitori, i veri schizzinosi, incapaci di indicare ai più giovani la giusta strada per l’incontro con il lavoro? 

C’è un tema inconfessabile, e rimosso, che riguarda il dibattito sul futuro del Reddito di cittadinanza. E’ un tema che sfugge spesso, misteriosamente, o forse no, agli occhi degli osservatori ed è un tema che riguarda non tanto gli ingranaggi del Reddito di cittadinanza quanto gli ingranaggi di una fascia della popolazione che il Reddito dovrebbe combatterlo più di quanto non lo combatte oggi un pezzo di mondo politico, che coincide in modo simmetrico con quel pezzo di mondo politico che ha vinto le ultime elezioni. Qual è la fascia di popolazione di cui stiamo parlando? Semplice. I genitori. Noi genitori. Quando si parla di Reddito di cittadinanza, ve ne sarete accorti, si parla spesso di numeri assoluti. Si parla spesso di quanti siano, davvero, i percettori di Reddito di cittadinanza. Su quante siano, davvero, le famiglie coinvolte. Su quanti siano, davvero, i percettori impossibilitati a lavorare (i nuclei familiari coinvolti oggi sono 1,1 milioni, due anni fa erano 1,5 milioni, in totale sono circa 2,5 milioni di persone), due terzi dei beneficiari del Rdc non possono lavorare, un terzo è “occupabile”.

 

Secondo i dati dell’Osservatorio sul Reddito e Pensione di Cittadinanza dell’Inps, da aprile del 2019 – primo mese di erogazione – hanno beneficiato del sussidio 1 milione e 154 mila nuclei familiari in media al mese per un importo medio di 535 euro mensili. Il numero di beneficiari medio ammontava a 881 mila nuclei tra aprile e dicembre del 2019; aumentava a 1 milione e 122 mila nel 2020 e a 1 milione e 346 mila nel 2021; nei primi dieci mesi del 2022 è sceso a 1 milione e 209 mila). Su quanti siano, al fondo, i percettori invece occupabili e che potrebbero essere rimessi rapidamente nel circuito del lavoro. Su un dato però, curiosamente, gli appassionati del tema, sia i critici sia i non critici, da sempre glissano e quel dato riguarda un numero choc di fronte al quale non c’è riforma che possa intervenire per cambiare la rotta del fenomeno. Il dato è questo. In Italia ci sono 364.101 percettori di Reddito di cittadinanza nella fascia tra i 18 e i 29 anni. Significa che in Italia 364 mila giovani, pur potendo lavorare, scelgono di non lavorare, come è ovvio, ma significa anche che in Italia 364 mila famiglie, 364 mila genitori A e 364 mila genitori B, accettano che i propri figli, occupabili, si accontentino di ricevere un reddito di cittadinanza che in media vale, per i beneficiari, circa 500 euro.

 

Si potrebbe dire, di fronte a questo dato, che se un giovane è “costretto” ad accettare 500 euro, pur potendo lavorare, significa che vi sono molti lavori che offrono, a un giovane, un salario persino più basso, e negare che in Italia vi sia un tema di salari bassi è negare l’evidenza. Ma di fronte a questo dato ciò che dovrebbe far riflettere, e forse persino indignare, giusto un po’, è qualcosa che riguarda non i figli ma i genitori ed è l’incapacità, dei genitori, di noi genitori, di indicare ai nostri figli, in età lavorativa, la strada della gavetta, la strada dei lavoretti forzati, la strada opposta a quella indicata dal modello master chef: uscire dalla bambagia, uscire dal nido e tentare i lavori che ci sono, i lavori disponibili, e non solo quelli che si vorrebbero, che possono aspettare. Quanti genitori, oggi, con figli senza lavoro ma in età lavorativa direbbero al proprio figlio di rinunciare al Reddito di cittadinanza, che comunque è un reddito, per quanto piccolo, sicuro, per mettersi in gioco, per provare a fare piccoli lavori, per rischiare qualcosa? Quanti genitori, oggi, di fronte a un lavoro pagato come un reddito di cittadinanza medio direbbero ai propri figli di mollare ciò che possono ricevere comodamente, stando a casa, e di guadagnarsi la giornata con un po’ di fatica? E quanti genitori oggi potrebbero difendersi dall’accusa di essere loro i veri choosy, i veri schizzinosi, e di essere loro incapaci di indicare ai propri figli la giusta strada dell’incontro con il lavoro?

 

E se fossero infine proprio i genitori choosy i principali responsabili del famoso mismatching, la differenza tra offerta e domanda di lavoro generata da una cattiva formazione dei potenziali lavoratori, in quanto desiderosi di proteggere i propri piccoli dalle avversità della vita lavorativa? Serve una modifica del Reddito di cittadinanza, certo, e sarebbe interessante se il nuovo Reddito di cittadinanza prendesse spunto dal Reddito di cittadinanza che verrà introdotto a gennaio in Germania, dove, rispetto alla precedente versione, è stato eliminato il “periodo fiduciario” (Vertrauenszeit) di sei mesi senza controlli e sanzioni, le sanzioni sono state inasprite, il “periodo di aspettativa” (Karenzzeit), cioè il periodo iniziale nel quale si vuole favorire la concentrazione del beneficiario nella ricerca del lavoro, viene ridotto da due anni a un anno, è stato ridotto l’importo massimo del patrimonio dei beneficiari necessario per ottenere integralmente la prestazione (40 mila euro più 15 mila per ogni altro membro del nucleo familiare, anziché 60 mila più 30 mila), ma serve prima di tutto una svolta che non arrivi dalle leggi e dai governi, ma che arrivi dai genitori. Più gavetta, meno divano.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.