(foto Ansa)

La tregua italiana, ovvero la nostra solita sfacciata fortuna

Giuliano Ferrara

Tutto va secondo canoni da democrazia dell’alternanza. Non sono in vista esperimenti pericolosi, anche se qualche segnale ci sarebbe. Ma prevale la sensazione che quelli che dispiacciono all’Italia di centro sinistra facciano di tutto per non dispiacere troppo

Viviamo un momento di tregua psicologica, innestato dalla politica. I vincitori delle elezioni hanno formato il governo e procedono, è il loro mestiere. Tutto va secondo canoni da democrazia dell’alternanza, secondo le scelte degli elettori. Non sono in vista esperimenti pericolosi, allarmanti. Qualche segnale ci sarebbe: blocco delle navi cariche di naufraghi e fumosa retorica nazionale rinvigorita, lite poco professionale con la Francia che si sente presa per i fondelli dai comunicati trionfalisti di Palazzo Chigi, qualche dubbio sulla manovra in un’Unione di Bruxelles diffidente e orfana del suo campione preferito, Mario Draghi, blanda tolleranza verso elusione e evasione, qualche polemica innescata da idee controcorrente, che non si portano, per esempio sui criteri dell’educazione e della correzione dei comportamenti asociali e violenti (il caso Valditara). 

Ma su tutto prevale la sensazione che quelli che dispiacciono all’Italia di centro sinistra, nella sua varietà e goffa divisione politica e parlamentare, nelle sue ragioni, anche nelle sue dissennatezze, fanno di tutto o comunque molto per non dispiacere troppo, per non inscenare la solita rissa trumpesca con le élite, fanno di tutto per dare un’immagine di sé non troppo convenzionale, non stantia, e per convivere con le varie sinistre mugugnanti, intrallazzone e scalpitanti in un quadro istituzionale normalizzato. L’aborto è al sicuro, la Roccella si avvia a diventare campionessa di razionalità e di dialogo, il ministro dell’Economia dragheggia, anche nella riforma del Reddito di cittadinanza o nella limitazione della strategia dei bonus, e pazienza se qualche macchietta di ministri alle prese con le difficoltà dell’inglese offre il senso di una diminutio, di un ridimensionamento buffo delle alte ambizioni elitarie di quelli che c’erano prima. Il caso Souhamoro seppellisce, garantismo o non garantismo, il simbolismo della ribellione in nome dei deboli, il che certo è un guaio, ma sappiamo bene quanti sono quelli che hanno puntato sulla posta dell’etica senza avere le carte giuste per giocare la partita (Di Pietro, Davigo e molti altri predecessori nell’ansia di ripulitura morale e sociale del paese).

Della tregua, senza esagerare, bisogna fare tesoro. L’assalto populista sgangherato di grillozzi e salviniani, nel 2018, aveva provocato uno smottamento e allarmava sul serio, ne sortì poi un episodio di felice trasformismo politico, produttivo di notevoli avanzamenti tra cui la mutualizzazione del debito europeo per il riequilibrio dopo la pandemia, un fenomeno che però oltre un certo limite non poteva durare, come non poteva durare la formidabile agenda Draghi, uomo e programma in una missione estemporanea, d’emergenza, alla quale è subentrata la nuova normalità del governo espresso dal voto. La situazione delle opposizioni, deputate in circostanze come questa al controllo, al contrasto conflittuale nelle istituzioni, alla vigilanza critica e non demagogica, indica un alto grado di confusione politica e morale, con qualche petulanza e tante trappole nella solita slavina della battaglia dei capi.

 

Tuttavia si capisce che ora nessuno ha più alibi ideologici totalizzanti, non si appronteranno nuove accozzaglie generiche per tagliare la testa alla leadership, bisognerà fare sul serio e ricostruire un’alternativa che oggi non è nelle cose e non è sostituibile da campagne fanatiche forsennate, e sopra tutto si capisce che la posizione internazionale e di sicurezza dei nuovi governanti, per merito – va detto – di Giorgia Meloni, è il perno intorno a cui ruota questo regime di tregua interna e convivenza tra diversi che emerge e detta i tempi della politica. Se il governo eletto avesse introdotto anche solo l’ombra del dubbio sullo schieramento dell’Italia con l’occidente travolto dalla guerra in Europa, dal buio e dal freddo di Kyiv, dalla logica di terrore imposta da Putin alla storia contemporanea, bè, non staremmo qui a parlare di new normal e di tregua, saremmo nel bel mezzo di un precipizio politico. E’ andata così, invece, e tutto sommato è una fortuna. La solita nostra sfacciata fortuna. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.