Il caso

Meloni marcia su Bruxelles: giovedì il debutto Ue. Pnrr e Immigrazione, primi scogli

Simone Canettieri

Valzer d'incontri per la presidente del Consiglio. Telefonata Scholz e assist a Zelensky

“Non è che passo da Orbán a viva l’Europa. E’ una questione di normali rapporti, sicuramente l’occasione per dimostrare che non siamo un pericolo né degli sfasciatori: siamo l’Italia”. Con questo animo Giorgia Meloni giovedì andrà a Bruxelles. Data da cerchiare di rosso in agenda: prima uscita internazionale della leader da quando ha vinto le elezioni. Sarà dunque la marcia del presidente del Consiglio – come da zelante nota informativa diramata dalla segreteria generale di Palazzo Chigi ai gabinetti dei ministeri –  sulla perfida Ue? Dal governo smentiscono intenzioni belligeranti. Anzi, ieri c’è stata anche la telefonata con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, secondo contatto di peso dopo l’incontro di domenica con il presidente francese Emmanuel Macron. Tutto sembra tenersi. 


La scorpacciata europea  avverrà in un’unica soluzione dalle 16 alle 19. Prima l’incontro con Roberta Metsola, presidente del Parlamento, votata anche da Fratelli d’Italia. Poi quello con Ursula von der Leyen, numero uno della Commissione, e infine Charles Michel, presidente del Consiglio europeo. Meloni sarà accompagnata da Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei già capogruppo a Strasburgo e grande tessitore di relazioni in questi ultimi mesi. Un lavoro silenzioso e oscuro per scongelare i rapporti fra Giorgia, che è anche presidente dei Conservatori, e i fatidici “signori di Bruxelles”. Il problema è che come in un gioco di specchi, molti leader non temono la Meloni in sé, ma la Meloni che alberga in loro. L’onda sovranista, insomma. Succede  in Francia con Macron che subito pensa a un’altra bionda (Marine Le Pen).

Capita a Pedro Sánchez (con Vox), ma anche a Scholz (con l’AfD). Per questo la telefonata di ieri con il leader  socialdemocratico tedesco – durata circa quindici minuti – ha segnato comunque un piccolo passo dell’Italia per uscire dalla bolla di scetticismo e  isolamento. I due, come riportano le rispettive fonti istituzionali, hanno parlato di questioni politiche europee e bilaterali, ma anche della questione gas. Su un punto di sicuro sembrano essersi trovati d’accordo: il sostegno all’Ucraina. E così, come per magia, dal silenzioso ufficio comunicazione di Palazzo Chigi sempre ieri è spuntata la notizia di una nuova telefonata tra Meloni e Zelensky. Un modo per rinnovare all’Ucraina il “pieno sostegno politico, militare, economico e umanitario”. Con un occhio alla futura ricostruzione e un altro agli sforzi diplomatici. “Auspicando  il rinnovo dell’intesa sull’esportazione del grano dai porti ucraini, accordo fondamentale per scongiurare una possibile crisi alimentare”.

Ecco, su questo fronte Meloni è coperta e allineata. Discorso diverso saranno i dossier che dovrà affrontare giovedì . A partire dal Pnrr. Nel discorso programmatico pronunciato alla Camera la linea del premier è stata chiara: va aggiornato alla luce della crisi e del costo della materie prime visto che le gare degli appalti rischiano di andare deserte. Su questo punto – anche se difficilmente si entrerà nel merito – da Bruxelles emerge un indirizzo opposto. Sono concessi al massimo piccoli correttivi,  altrimenti si rischia di fare tutta la trafila delle autorizzazioni daccapo. Anche sull’immigrazione, le idee meloniane potrebbero trovare più di un ostacolo, visto che sempre alla Camera ha rispolverato la missione Sophia. Sarà un giovedì comunque da vedere. Meloni e Metsola si sono conosciute lo scorso luglio (altra marcia, questa volta verso il Ppe). La stretta di mano con von der Leyen sarà simbolica con tratti storici. La linea nei confronti del nostro governo, secondo fonti europee,  è la seguente: “Non si giudica sulla base delle ideologie, ma delle azioni”.
                        

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.