Foto di Focke Strangmann, via Ansa 

nuovi governi vecchie idee

Resuscitare l'operazione Sophia come vuole Meloni è un piano perso in partenza

Antonia Ferri

Il premier ha parlato di riattivare la vecchia missione europea per bloccare il traffico di migranti nel Mediterraneo, ma nel concreto ci sono due questioni da affrontare: i rapporti con le autorità libiche e il regolamento di Dublino

"È nostra intenzione recuperare la proposta originaria della missione navale Sophia dell'Unione europea che nella terza fase prevista, e mai attuata, prevedeva proprio il blocco delle partenze dei barconi dal Nordafrica", ha detto martedì il presidente Giorgia Meloni nel suo discorso alla Camera dei deputati. Si torna a parlare di migranti e, al posto del più volte paventato "blocco navale", misura infattibile, Meloni cita EunavforMed operazione Sophia, una missione militare dell'Unione europea che era stata avviata nel 2015, uno degli anni peggiori per il numero di morti nel Mediterraneo. Peccato che Sophia era stata azzoppata nel marzo del 2020 dall'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini in aperta lotta con la missione, accusata di essere un pull factor (ovvero un fattore di attrazione) per i migranti, che essendo a conoscenza dell'esistenza di navi di salvataggio, sarebbero stati invogliati a partire.  

 

Ma, senza contare le restrizioni introdotte dall'attuale vicepremier - che aveva svuotato di senso la missione già nel 2019, privandola di mezzi navali per paura che le persone arrivassero sulle coste italiane -, Sophia, anche nella cosiddetta "terza fase" invocata da Giorgia Meloni, incontrerebbe ostacoli difficilmente risolvibili.

Facciamo un passo indietro. EunavforMed operazione Sophia si articolava in tre parti: una prima di intelligence in cui si raccoglievano informazioni logistiche in merito al modo di agire dei trafficanti; una seconda in cui le imbarcazioni sospettate di traffico e di tratta di esseri umani venivano fermate e i migranti venivano portati in salvo; e infine la terza, in cui le strutture utilizzate per organizzare il contrabbando sarebbero state estirpate alla radice. A quest'ultima fase non si è mai arrivati. Prima di tutto perché l'allora governo gialloverde si accorse che per fermare le persone in partenza dal Nordafrica si sarebbe dovuto salvarle in mare e quindi portarle sulle coste del nostro paese. Inoltre, se anche la linea anti migranti non avesse prevalso, l'avvio della terza fase, quella che prevedeva l'individuazione dei centri di controllo dei trafficanti, avrebbe necessitato di due condizioni: una risoluzione dell'Onu e il consenso e la cooperazione delle autorità libiche, che appariva già allora un obiettivo difficile. Nessuna delle due si è mai concretizzata. 

 

Il sogno di Meloni si scontrerebbe dunque con il muro delle autorità libiche, con cui è stato sempre difficile relazionarsi, dato il perenne stato di guerra latente fra est e ovest e la mancanza di uno stato unitario. L'ipotesi di trovare un accordo politico con i libici al momento non sembra neppure immaginabile. La Commissione europea nel 2020 aveva già proposto di sviluppare parternariati per la lotta contro il traffico di migranti, che però non si sono mai realizzati. E anche l'addestramento della Guardia costiera libica, iniziato nel 2016, quando Sophia era già operativa, non ha mai portato a risultati concreti. Negli anni, le prove di complicità tra la Guardia costiera libica e i trafficanti si sono moltiplicate. L'ultimo caso è di sole poche ore fa. L'ong Sea Watch ha pubblicato delle foto che dimostrerebbero come i guardiacoste di Tripoli rimettano in acqua i barchini dei migranti, in aperta violazione del Memorandum Italia-Libia, che invece imporrebbe il loro affondamento.  

 

Per venire incontro ai nuovi assetti geopolitici dovuti all'invasione russa dell'Ucraina, lo scorso giugno l'allora presidente del Consiglio Mario Draghi ha congelato, tramite il decreto Missioni, le operazioni di sostegno agli agenti libici. Inoltre, tra il 2015 e il 2018, ovvero negli anni dell'operazione Sophia, gli sbarchi sulle coste italiane sono stati circa 360 mila. Nonostante ora i numeri siano diminuiti, resta il fatto che, secondo le leggi internazionali, chiunque ha diritto a chiedere asilo e a farlo in condizioni che rispettino i diritti umani, senza contare che la legge del mare implica l'obbligo di soccorrere chi è in difficoltà. Le norme internazionali impongono che i migranti arrivino in Europa, anche perché oggi la Libia non può essere considerata un porto sicuro, data la perdurante instabilità e senza l'adesione alla Convenzione di Ginevra, che chiarisce i diritti dei migranti e gli obblighi delle nazioni di proteggerli.

È qui che entra in gioco la questione dirimente: quella della modifica del Regolamento di Dublino, che oggi impone al paese di arrivo la gestione della richiesta d'asilo. Una modifica che porti alla redistribuzione dei migranti sul territorio europeo – sul modello delle quote ideato nel 2015 e poi fallito per l'opposizione dei paesi di Visegrád – è stata più volte evocata, ma mai portata a termine. Tanto che quando fu il momento di rinnovare e rendere più efficace il sistema delle quote, tra il 2017 e il 2018, la Lega di Matteo Salvini disertò 22 riunioni di negoziato che avrebbero condotto a una riforma del Regolamento. C'è da capire come il neo ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, deciderà di operare in materia e quale sarà la posizione del nuovo governo a guida Fratelli d'Italia. Per ora, l'unico dato certo a proposito del dossier immigrazione è che le persone continueranno ad arrivare e che un'equa spartizione sul territorio dell'Unione europea è ancora necessaria