Quelli che restano

Il caso di Carlo Deodato, alto funzionario a Chigi con Draghi (e oltre Draghi)

Marianna Rizzini

L'ex braccio di destro di Brunetta e Savona, un passato tra Consiglio di Stato e Consob, è in predicato di diventare il prossimo segretario generale del governo Meloni

Il Consiglio di Stato, la Consob, il vertice del Dipartimento affari legislativi a Palazzo Chigi su impulso di Enrico Letta, l’addio al medesimo ruolo su impulso di Matteo Renzi, il nuovo arrivo nello stesso posto con il governo Draghi e infine la probabilissima nomina a segretario generale di Palazzo Chigi nel prossimo venturo governo Meloni: Carlo Deodato, giurista, classe 1967, un passato da braccio destra di Renato Brunetta e Paolo Savona ministri, al momento è l’uomo di cui si parla quando si allude alla fantomatica categoria dei “draghiani che restano”, contenitore mobile per identificare gli alti funzionari (“mandarini”, per i detrattori; “grand commis de l’État”, per gli estimatori) che tengono teso il filo tra un governo all’altro, tecnico e non tecnico, informazioni chiave incluse. Particolare, questo, tanto più importante in una fase in cui il funzionamento della macchina e i dossier legati al Pnrr richiedono tempestività di decisione.

 

Si cadrebbe in errore, però, a considerare Deodato un corpo estraneo al centrodestra per via di quella lontana nomina lettiana, vista non solo la suddetta carriera con ministri che del centrodestra più volte governativo hanno fatto parte, ma anche l’appartenenza a un’area ascrivibile alla tradizione cattolica (Deodato stesso si autodefinisce, su Twitter, “giurista, cattolico, sposato e padre di due figli. Uomo libero e osservatore indipendente di politica, giurisdizione, costumi, società”). Fu di lui che, nel 2015, si parlò polemicamente  a proposito della sentenza del Consiglio di Stato (sentenza di cui è stato relatore) sulla trascrizione delle nozze gay fatte dai sindaci italiani riguardo ai matrimoni contratti all’estero. In quel frangente, gli avvocati dell’Avvocatura per i diritti Lgbt Rete Lenford avevano segnalato alcuni re-tweet di Deodato (a proposito di alcune dichiarazioni delle “Sentinelle in piedi”, gruppo schierato contro matrimoni e unioni civili tra persone dello stesso sesso).

 

Deodato ha sempre sostenuto, in quel frangente e più avanti, di aver applicato la legge in modo imparziale, al di là delle proprie convinzioni personali. Apprezzato dal presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini e dal cofondatore di FdI nonché consigliere di Giorgia Meloni Guido Crosetto, il giurista si appresta ora a vedere realizzata, per uno strano giro di destini, la propria auto-profezia. Nel maggio del 2015, infatti, su questo giornale, al termine della prima esperienza a Palazzo Chigi, Deodato aveva parlato dell’arte di governo: per esercitarla bene, scriveva allora, sarebbe meglio se i governanti si avvalessero di una solida élite amministrativa. “Già Platone e Aristotele”, si leggeva nel pezzo, “avevano identificato la migliore forma di governo nell’aristocrazia (non degenerata nella forma deteriore dell’oligarchia), intesa, in senso etimologico, come governo dei migliori (e non come classe sociale)…”.

Parlava in qualche modo anche della categoria a cui apparteneva? Fatto sta che, a leggerlo oggi, pare appunto profetico: “…Nelle organizzazioni contemporanee si sono strutturati alcuni corpi scelti (coincidenti con l’alta amministrazione e con le giurisdizioni superiori) dove si sono radicate e sono cresciute competenze, conoscenze e professionalità delle quali l’élite politica si è sempre servita per elaborare, amministrare ed eseguire, con maggiore efficacia e utilità, le decisioni pubbliche affidate alla sua responsabilità. Secondo la fisiologia dei rapporti tra classe politica e classe dirigente, la legittimazione elettiva della prima e quella tecnica della seconda si riconoscono a vicenda in un virtuoso circuito di lealtà istituzionale…”. Alla salita al Colle manca ancora qualche giorno, ma c’è chi consiglia a Giorgia Meloni di rileggere alcuni classici in tema di governo. Per esempio il Machiavelli citato allora da Deodato: “Machiavelli diceva che i principi che si atteggiano come volpi (anziché come leoni) durano più a lungo, perché sono più scaltri. E aveva ragione. Senonché la vera astuzia consiste nell’intendersi con la parte migliore della classe dirigente. E non nel mortificarla o nel farle la guerra…”. (A buon intenditor).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.