Foto di Luca Bruni, via LaPresse 

Girotondo fogliante

La paura (non) fa Meloni

Chi dice: istituzioni solide, il trapassato remoto di Fratelli d’Italia non è un rischio, possibile però qualche danno collaterale. E chi teme l’unilateralismo e l’interventismo economico. Le donne e Giorgia

Preoccupati di un governo Meloni? Sì, no, molto, poco? E per quali motivi? Prosegue in questa pagina il nostro girotondo cominciato ieri. Ecco altre risposte e opinioni di foglianti e amici del Foglio. Nessuna preoccupazione, solo qualche consiglio.

 

Preoccuparsi del governo Meloni? Ma seri siete? Dopo i governi Conte? La via maestra per reggere bene al dopo Draghi è l’ilarità. L’ilarità è la salamoia che conserva al meglio lo spirito per reagire duramente a eventuali stronzate. Che, se Giorgia Meloni ha buon senso, cercherà di evitare. Ergo: per favore niente coboldi al governo, quei folletti strani della tradizione germanica che non si sa se siano buoni o cattivi, ma di certo sono imprevedibili e non si curano delle conseguenze di ciò che dicono o fanno. Eviti ai ministeri qualche nostalgico di Hjalmar Schacht, serve qualcuno alla Alberto de’ Stefani (usate wiki se ignorate chi siano). Distribuire ai ministri un compendio di quel che pensava Thomas Jefferson sui diritti, espungendo però la parte sullo schiavismo perché il gentiluomo del Sud aveva belle idee sui limiti delle leggi e degli stati etici di qualunque colore rispetto ai sacri cittadini, ma sul colore della pelle proprio non ragionava. Appendere nella sala del Consiglio dei ministri un cartello “chi propone deficit dica con che tagli li copra”.  

 

Due misure salva-vita: affidare a Salvini deleghe importantissime, la prima per la promozione del turismo balneare in Italia, con un fitto programma incardinato si una conferenza settimanale ad hoc in ogni diverso paese del mondo; la seconda un distacco semestrale di Salvini in Cina per studiare i metodi di rieducazione degli uiguri, così sta lontano da Putin; riconoscere poi come modello di Rsa nazionale il sistema retto dalle badanti del Cav., un modello esemplare di empatia che addita l’Italia ai vertici mondiali della longlife care che gli anziani meritano e ci mancherebbe, con tutto quello che dobbiamo loro. Che altro? Ah, dimenticavo: Pietrangelo Buttafuoco ministro della Cultura. Ma su questo sono serio: perché sarebbe uno spasso assistere allo spiazzamento delle misure che assumerebbe e di quanto trasversali e inclusive e interculturali sarebbero, rispetto a chi non conoscendolo lo bollerebbe subito come orbace di provincia…
Oscar Giannino

 

Sopravvissuti ai gialloverdi, dunque oggi nessuna paura

Nel 2018, quando si formò il governo gialloverde, ero preoccupato per le sorti dell’Italia. I rischi riguardavano principalmente la collocazione internazionale del paese e il debito pubblico. Alla fine l’Italia è sopravvissuta, anche se con qualche danno collaterale (spread a 300 e oltre per qualche tempo, quota 100 per le pensioni e un reddito di cittadinanza costoso e disfunzionale). Forse proprio per il fatto che l’Italia è sopravvissuta ai gialloverdi, oggi non ho alcun sentimento di paura nei confronti del prossimo governo a guida Giorgia Meloni. Ma non è solo questo il motivo delle mia tranquillità. La tante emergenze di questi anni (Covid, guerra, inflazione) hanno costretto molti dei protagonisti del 2018 a fare un bagno di realismo e a passare rapidamente dal populismo alla responsabilità. Questa trasformazione ha contagiato anche il partito di Fratelli d’Italia e io oggi tendo a prestare fede alle dichiarazioni degli ultimi mesi, anche se su tanti temi (Europa, euro, mercati, debito ecc.) sono in plateale contraddizione con quelle dei mesi e degli anni precedenti. E non ho alcun timore per la democrazia. Le nostre istituzioni sono solide e non mi pare che il trapassato remoto del partito di Giorgia Meloni possa rappresentare un rischio. 

 

Ci saranno danni collaterali? Qualcuno forse sì, ma non di prima grandezza. Le nomine dei ministri probabilmente  saranno dignitose, ma scendendo per i rami fino ai tanti consigli di amministrazione delle partecipate dovranno essere sistemati i sodali di una vita. Alla Lega dovranno concedere un aumento (100 mila euro?) del limite per l’applicazione della flat tax agli autonomi: un obbrobrio, che fa ricadere tutta la progressività dell’Irpef ancor più di oggi solo su lavoratori dipendente e pensionati. Faranno la rottamazione delle cartelle: anche questo è un danno collaterale, per la credibilità del fisco, ma in fondo la stessa cosa è stata fatta dai governi a guida Pd. E come nei casi precedenti, raccoglieranno pochissime risorse, per cui saranno presto disperatamente alla ricerca di coperture per far fronte al caro bollette. Questa è la vera emergenza del momento, quella che travolge ogni altro progetto. Chiunque, nella coalizione di centrodestra, abbia ancora grilli per la testa farà bene a farseli passare presto. L’emergenza impone un governo che sappia parlare a tutti gli italiani, non solo a quelli che l’hanno votato. E mi pare che Giorgia Meloni lo capisca benissimo.
Giampaolo Galli

 

Tre tentazioni per la politica economica della destra

Con quale piglio Giorgia Meloni si affaccerà dal balcone di Palazzo Chigi? Con quello arrabbiato e rivoluzionario a cui ci ha abituati negli ultimi anni? Oppure con l’espressione moderata e rassicurante mostrata in campagna elettorale? Nel 2018, la Lega e i Cinque stelle presero il potere agitando promesse incendiarie e ne finirono bruciati. Oggi, Meloni si trova in una situazione per molti versi analoga: il mondo la guarda con sospetto, temendo una fiammata sovranista. Di questo, la leader di Fratelli d’Italia sembra pienamente consapevole, tant’è che ha dedicato la campagna elettorale proprio al tentativo di spiegare che no, non bisogna avere paura. Sono principalmente tre le tentazioni a cui la politica economica della destra dovrà rispondere e resistere. La prima è quella dell’unilateralismo: la crisi energetica richiede interventi coordinati a livello europeo. Fughe in avanti dei singoli paesi – per esempio riforme più o meno pasticciate del funzionamento dei mercati elettrico e gas – possono offrire un illusorio sollievo nell’immediato, ma inevitabilmente si portano dietro costi e danni nel lungo termine.

 

Un importante banco di prova, allora, sarà la capacità di dialogare coi partner europei e collaborare alla ricerca di soluzioni comuni. La seconda tentazione sta nell’interventismo economico: Meloni troverà a Palazzo Chigi un arsenale potentissimo, a partire dal golden power, che può rappresentare un forte deterrente agli investimenti nell’economia italiana. Questi strumenti nascono da una serie di interventi bipartisan, dal 2017 in poi, che non di rado hanno prodotto abusi e mostrato il volto più arbitrario e capriccioso dello stato: ci saranno cambiamenti sotto questo profilo? Meloni avrà la forza di reintrodurre almeno alcuni tra i vincoli che sono stati irresponsabilmente rimossi (per esempio limitare i poteri speciali alle operazioni che coinvolgono soggetti extraeuropei)? Infine, c’è la legge di Bilancio. Nelle ultime settimane la premier in pectore ha molto insistito sull’impossibilità di ulteriori scostamenti di bilancio, per evitare di far lievitare un debito già ingovernabile. È il momento di mantenere la promessa, anche eliminando o rimodulando alcuni dei bonus energetici del governo Draghi e, in parallelo, rivedendo la demenziale tassa sugli extraprofitti energetici (come anticipato da Maurizio Leo sul Corriere della Sera). I primi passi di Giorgia Meloni daranno l’intonazione alla sua politica economica: i mercati reagiranno di conseguenza.
Carlo Stagnaro

 

Una vittoria che rimescola le carte nel femminismo

La vittoria di Giorgia Meloni rimescola le carte nel femminismo, spiazza, produce attrazione e repulsione, e mette in crisi i più amati stereotipi. Come quello che la sinistra si affanna ad alimentare a dispetto di ogni evidenza, cioè che la destra sia patriarcale e maschilista, che voglia le donne a casa, a stirare i panni e cullare bebé non voluti. Un quadro anni Cinquanta improbabile come l’immagine dell’Italia che tanti giornali stranieri insistono a propagandare: arretrata, familista, mammona. Di mamme, dati alla mano, ce ne sono sempre meno, e i single hanno ormai superato le famiglie; quanto alla sinistra il potere politico è saldamente in mani maschili, fino all’ironia inconsapevole delle affermazioni di Enrico Letta sui maschi che fanno politiche femministe meglio delle donne. Ragazze, state pure a casa, a tutelarvi ci pensano gli uomini, che, loro sì, sanno essere femministi.

 

Invece le donne hanno votato Meloni, hanno voluto che  fosse una “testolina bionda”, come ha detto forse rassegnata ma certo più cauta di qualche settimana fa Natalia Aspesi, a infrangere il famoso tetto di cristallo. Ecco, è stato sfondato. E il femminismo dovrebbe forse analizzare quello che è successo con più curiosità. 
Qualcuna lo sta facendo. Quello che viene definito femminismo è in realtà una galassia composita, in cui vivono – ma non convivono - correnti assai diverse. Del vecchio movimento degli anni Settanta, quello che riempiva le piazze e che ha ottenuto grandi cambiamenti legislativi non è rimasto quasi nulla. Sopravvive invece il pensiero della differenza, affermatosi in Francia e in Italia qualche anno dopo, ed è qui che il discorso su Meloni è più aperto. Su Feminist post, la pagina di Radfem Italia (femministe radicali gender critical, in rete con gruppi radicali internazionali) si può leggere un articolo di Marina Terragni intitolato “Lei è Giorgia”: “Utero in affitto, identità di genere, maternità: su molti temi le posizioni della leader che oggi guarda alla premiership coincidono con quelle del femminismo, snobbate dalla sinistra. Che fare di fronte a questa sfida? Il movimento delle donne può dialogare con la destra?”.

 

L’interrogativo deve sembrare una vera eresia alle militanti di Non una di meno che hanno manifestato nei giorni scorsi per cambiare la legge 194: basta con la difesa della legge, vogliamo l’abolizione dell’obiezione di coscienza e della settimana di riflessione, nonché la pillola abortiva in regime ambulatoriale: tutte cose per cui serve una sostanziosa modifica legislativa. Nel manifesto di Nudm sono state spazzate via le desinenze, meglio abbondare con asterischi e schwa, perché per essere donna basta percepirsi come tale. Che l’esclusione delle donne e la violenza contro di loro nasca proprio dallo scandalo del corpo sessuato, come dimostra la strage di libertà e di vite in Iran, non sembra creare dubbi nell’area transfemminista, amata dalla sinistra perché non crea frizioni con il mondo Lgbt e trans. Ma forse la corrente di maggior successo resta, un po’ sottotraccia, la vecchia parità, l’emancipazionismo: l’obiettivo più alto per una donna è vivere, lavorare, amare come un uomo. Su questo punto Meloni è stata chiara. “Io brava come un uomo? No, brava come una donna”. Meloni ha chiarito come il no alla legge Zan sia il rifiuto di “un nuovo modello patriarcale che fa scomparire le donne e distrugge il materno.” Sulle nuove forme assunte dal patriarcato, su come le nuove violenze si sovrappongano alle vecchie, serve una  riflessione libera e spregiudicata, sganciata dalle appartenenze partitiche. Vorrei ricordare, per chi non lo ha vissuto, che è stato questo il segreto dell’esplosione del movimento delle donne, cinquant’anni fa.
Eugenia Roccella


Un cauto ottimismo (grazie anche alla strada tracciata da Draghi)

Da draghiano devoto sono rattristato di avere perso il presidente del Consiglio più autorevole da che ho memoria politica. Non mi era mai capitato di essere così fiero del mio paese nel mondo. Non sono però preoccupato da un potenziale governo Meloni. L’ultima legislatura ci ha permesso di sviluppare un certo coraggio nell’affrontare le spinte populiste… i governi Conte, in particolare il primo, mi avevano preoccupato sensibilmente di più…
Tre sono gli elementi su cui baso il mio cauto ottimismo: Giorgia Meloni è l’unica vincitrice delle elezioni. Il suo è un risultato personale che le permette, almeno per il momento, di esercitare una leadership incontrastata e incontrastabile. È dotata di una robusta intelligenza politica che le permette di capire quanto l’elettorato italiano sia diventato volubile. L’opportunità che le sta capitando potrebbe quindi non riproporsi e la durata della sua permanenza al governo dipende dalle sue scelte. I riflettori del mondo sono puntati e non faranno sconti.
La strada tracciata da Mario Draghi per il Pnrr e i fondamentali macroeconomici dell’Italia non permettono deroghe o fantasiose digressioni. Salvo qualche battaglia di bandiera credo quindi che le scelte strategiche sia di posizionamento geopolitico che di carattere economico e finanziario saranno abbastanza obbligate.

 

I parlamentari del Movimento 5 stelle rappresentavano la negazione e il rifiuto della politica di cui si dicevano nemici: l’obiettivo era aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. Fratelli d’Italia invece è a tutti gli effetti un partito politico con idee magari distanti dalle mie ma con la tradizione e i principi di un partito politico che riconosce i ruoli delle istituzioni e le regole ad essi sottese. Per chi è abituato a confrontarsi attraverso i corpi intermedi non è una differenza di poco conto.
A questi tre elementi aggiungo anche la particolare debolezza delle opposizioni con un Pd da reinventare a valle dell’elaborazione del lutto e un Terzo polo che deve decidere come strutturarsi dopo un risultato sicuramente interessante ma che non può che essere l’inizio di un cammino. Insomma, anche il tempo è dalla parte di Giorgia Meloni… 
Filippo Delle Piane, imprenditore

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