Stefano Bonaccini (Ansa)

Passeggiate romane

Bonaccini è pronto alla discesa in campo, ma la sinistra del Pd non s'arrende e studia chi candidare

Affidarsi a Elly Schlein è escluso, benché questa sia una candidatura che piace molto ai media. L’ipotesi che si fa largo tra i dem più radicali è quella di mettere in pista comunque un candidato e tentare la sorte, magari facendo affidamento sull’apporto di Articolo 1. Il più gettonato in questo senso è il ministro del Lavoro Andrea Orlando

A piccoli passi Stefano Bonaccini si prepara alla sua discesa in campo per la segreteria del Partito democratico. Tra i dirigenti  dem c’è ancora chi è convinto (e spera) che alla fine il presidente dell’Emilia Romagna non compia l’ultimo passo. Nell’aera dem, quella che fa capo a Dario Franceschini, e in un pezzo marginale della sinistra interna più di uno pronostica che alla fine il governatore non si candiderà alla successione a Enrico Letta. Ma la verità è che sia lui che la sua squadra sono mesi che lavorano a questo obiettivo ed è assai difficile che vi rinuncino. Anche l’ipotesi di sbarrargli il passo mettendo in pista una candidatura di Dario Nardella sembra destinata a fallire. Il sindaco di Firenze ha fatto sapere allo stesso “governatore” che nel caso lui scendesse in campo non ostacolerebbe la sua candidatura mettendosi di traverso. Lo stesso ragionamento che ha fatto a Bonaccini Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci.

Dunque, per la sinistra interna la partita si fa difficile, anche se oggettivamente il percorso individuato da Letta per mediare tra le diverse correnti del Partito democratico non la sfavorisce. E’ un iter che consentirebbe infatti ad Andrea Orlando e compagni di allungare i tempi. Anche se ciò facendo si violerebbe lo statuto, secondo il quale l’Assemblea nazionale (non ancora convocata, perché spetterà alla Direzione di giovedì farlo) avrebbe dovuto tenersi il 17 settembre. Ma con le elezioni è saltata. Adesso, però, calpestare le altre regole previste dalla carta che regola la vita interna dei dem sarebbe più problematico, anche se non impossibile.
 

A queste obiezioni di carattere statutario si affianca quella più di sostanza che è stata avanzata da Matteo Orfini e da Base riformista, insolitamente in sintonia (i miracoli di Bonaccini). E cioè che pensare ad affidare all’Assemblea nazionale il lungo processo di transizione, rifondazione e apertura ai non iscritti sarebbe quanto meno curioso, dal momento che, come spiega Orfini, si tratta di “un organismo dirigente eletto tre ère geografiche fa, figlio di un congresso in cui i candidati erano Martina, Giachetti e Zingaretti”. Il primo, chiosa l’ex presidente dem, “ha abbandonato la politica, il secondo ha cambiato partito e il terzo si è dimesso da segretario dicendo più o meno che questo partito gli faceva schifo”. 

Se quindi  il congresso si tenesse entro marzo (o al massimo ad aprile), che cosa potrebbe fare la sinistra che è senza un volto nuovo da candidare? Affidarsi a Elly Schlein è escluso, benché questa sia una candidatura che piace molto ai media. L’ipotesi che si sta facendo largo è quella di mettere in pista comunque un candidato e tentare la sorte, magari facendo affidamento sull’apporto di Articolo 1. Il più gettonato e autorevole in questo senso è il ministro del Lavoro Andrea Orlando, che secondo la sinistra potrebbe riuscire a riconquistare i voti dei lavoratori che il Pd ha perso ormai da tempo.
 
Una parte del Pd ritiene possibile andare a un accordo con i 5 Stelle nel Lazio. Raccontano che Francesco Boccia abbia già avuto degli abboccamenti. Ma c’è poco da gioire. Come fanno notare autorevoli fonti del Movimento, “Conte ha un unico modo per tenere tutti uniti nel Lazio ed evitare che Virginia Raggi gli rompa le uova nel paniere. Ed è candidare un esponente di area, certo non un rappresentante del Pd”.

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