Foto di Mauro Scrobogna, via LaPresse 

Comizio terminale

Letta pensa alle elezioni, ma il Pd pensa al congresso

Salvatore Merlo

Il segretario parla di Europa e cita Sassoli, l'unico a non urlare, mentre dietro al palco gli altri organizzano la vera festa e restano in bilico, come i Negramaro che risuonano a piazza del Popolo. “Apriamo una riflessione”

Non si sa chi abbia scelto la colonna sonora, ma i non troppi militanti del Pd stipati in un labirinto di transenne che riduce di circa tre quarti piazza del Popolo non hanno precisamente gli occhi di tigre mentre dal palco il loro partito cerca di dargli la carica con Cat Stevens che canta “I know, I have to go”, ovvero: “So che me ne dovrò andare”, seguito dai Negramaro con “in bilico tra tutti i miei vorrei... resto qui sul filo di un rasoio”. Quando comincia l’analisi della sconfitta? “Siamo fiduciosissimi”, risponde Gianni Cuperlo.

 

Alle 18, nel retropalco, a un passo dal tendone che raccoglie i giornalisti (senza catering, altro che Giorgia Meloni: sobrietà) precipita pure un cartellone con scritto “scegli Pd”. E insomma saranno coincidenze, o segni fatali, ma dal palco quasi tutti dicono la stessa cosa: “Il destino di queste elezioni non è scritto”. Però a furia di ripeterlo qualche dubbio viene. 

 

Spesso l’architettura, come l’urbanistica, confessa con le forme ciò che la politica non può ammettere: e l’eccesso di transenne necessarie a riempire i vuoti di piazza del Popolo, ieri sera, alla chiusura della campagna elettorale del Pd, sembrava confessare l’inconfessabile. Capannello di consiglieri comunali romani del Pd: Zannola, Baglio, Corbucci. Uno di loro, sarcastico: “Ecco la piazza della vittoria, non si vede?”. Risate. Insomma tutte le transenne prima o poi vengono al pettine. Su via del Corso, il regista Sergio Rubini avanza ad ampie falcate in direzione della piazza. Va dal Pd? “No, per carità”. E svolta subito (a sinistra) su via Laurina.

 

Poco alla volta arrivano i primi parlamentari, i candidati, i ministri e i dirigenti del partito. Marco Meloni, braccio destro organizzativo di Enrico Letta, nero in volto e di abito. Seguito da Anna Ascani non meno tesa ma con giacchetta fucsia, poi Carlo Cottarelli con zainetto. C’è anche Vincenzo De Luca, il presidente della Campania, scortato dal figlio parlamentare, Piero. Presidente allora si vince? E lui, da sotto la mascherina: “Pensa alla salute”. L’unico sorridente  alla fine forse è Stefano Bonaccini, il presidente dell’Emilia-Romagna che in tanti indicano come il prossimo segretario del Pd.  

 

“Avanti verso la vittoria”, dice lui. Ma la vittoria di chi, presidente? La sua alle primarie? Sorriso di rimprovero. Bonaccini salirà sul palco (e dirà: “Non assegniamoci da soli pagelle di migliori”, tié) e lo farà un po’ prima di Elly Schlein, la sua vicepresidente in regione, altra candidata in pectore alla prossima leadership del centrosinistra. Lei che deve avere studiato davvero tutti i video dei discorsi dell’eroina della sinistra americana  Alexandria Ocasio-Cortez, perché muove, agita e rotea le mani con decisione proprio come lei. Mimesi perfetta. Nemmeno la Vulvia di Corrado Guzzanti avrebbe saputo dirlo meglio: “Dovete essere spingitori e spingitrici di speranza in questi giorni”, ripete ai militanti in piazza.

 

E quelli in effetti spingono, ma l’uno contro l’altro per via delle solite transenne che li tengono stretti in uno spazio che in realtà sarebbe pieno di buchi e di vuoti. Ma in piazza che succede? Mentre Enrico Letta dice “viva l’Europa” e cita David Sassoli con voce calma, praticamente l’unico a non urlare tra i tanti brevissimi interventi che si susseguono – Franceschini, Guerini, Speranza, Malpezzi, Serracchiani... – ecco una scoperta o forse una ovvietà: in piazza gli umori non sono tanto diversi da quelli in bilico (per restare ai Negramaro) del retropalco dei dirigenti che sembrano solo in attesa di addossare tutte le colpe sulle spalle lisce e per bene del loro segretario.

 

Antica tradizione. Se le cose vanno male? “Apriamo una discussione seria”, dice uno dei tanti anziani seduti sotto al palco. Appunto. Tutti pensano che al Pd piaccia stare al governo, e invece no. Al Pd piacciono i congressi. Sono questi la vera festa di popolo nel centrosinistra. Un lupanare.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.