promesse e bandiere

Tra assistenzialismo e Flat tax. Un'analisi del programma di centrodestra

Stefano Cingolani

L'impressione è che Meloni e compagnia non vogliano affrontare di petto il problema centrale dell’Italia: la stagnazione pluridecennale. La domanda è: come distribuire la torta che non c’è? 

Premessa dovuta: stiamo discutendo del dire, per ragionare sul fare bisognerà attendere dopo le elezioni. Ciò detto, l’impressione è che il centrodestra eviti di affrontare di petto il problema centrale dell’Italia: la stagnazione pluridecennale, ovvero una crescita che, salvo il rimbalzo dopo pandemia, non è mai arrivata a superare l’un per cento con una brevissima eccezioni durante il governo di Matteo Renzi. Ciò ha fatto sì che il reddito pro capite sia aumentato in media appena dello 0,14 per cento rispetto all’1,3 della Germania o all’un per cento della Francia.

 

Nella bozza di programma del centrodestra colpisce un preambolo di politica internazionale che si muove nel solco della continuità. Ciò vuol dire che, salvo sfumature, l’Italia ha una politica estera nazionale che non cambia con il mutare delle maggioranze di governo? Se è così, applausi. E sono finite le mattane sul piano B per uscire dall’euro che hanno segnato le elezioni del 2018? Se è così, altri applausi. Ma attenti ai dettagli. Nel capitolo sul Pnrr al secondo punto c’è la revisione del piano. In che senso non è specificato. Si tratta di consentire un adeguamento dei costi dovuti all’inflazione? E quale inflazione, quella della prima o della seconda metà del 2022 se come sembra comincerà a calare? L’accordo con la Ue del quale si parla significa che l’Italia chiederà più risorse oltre i quasi 200 miliardi di euro già stanziati o un allungamento dei tempi di esecuzione dei programmi e di restituzione dei prestiti? Non sono inezie, perché possono provocare conflitti con quasi tutti gli altri paesi dell’Unione. Lo stesso può accadere se si interpreta in modo nazional-sovranista la “difesa delle infrastrutture strategiche nazionali”. Difesa da chi? Dalla Cina, dalla Russia, dalla Gran Bretagna, dagli stessi Stati Uniti o dai partner europei? C’è un odore di protezionismo autarchico che andrebbe dissipato.

 

Poi entrano in campo gli sbandieratori. Una vera bandierona, è la riforma costituzionale per l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Il programma butta là con nonchalance la proposta e non dice che ci sarà bisogno di rivedere l’intero equilibrio dei poteri (governo, Parlamento, Corte costituzionale). Probabilmente Giorgia Meloni ha le sue idee e Matteo Salvini le sue (il passaggio da un “pieno riconoscimento delle autonomie” al federalismo). Ma anche Silvio Berlusconi al quale piacerebbe essere eletto presidente a furor di popolo si guarda bene dallo spiegare che cosa intende. C’è poi il contrasto all’immigrazione illegale con forte ispirazione salviniana; si aggiunge una non meglio specificata “difesa dei confini nazionali ed europei”. Il blocco navale si nasconde forse in quel paragrafo?

 

La polpa dell’intero programma riguarda la politica fiscale. E qui prevale la tradizionale logica assistenziale e redistributiva. Meno tasse per tutti è uno slogan perfetto, perché non spiega mai come si fa. La Flat tax si è rivelata impossibile quando la Lega era al governo visto che richiede anch’essa una riforma costituzionale passando da un sistema progressivo a uno proporzionale. In caso contrario, per avere una imposta uguale per tutti e fare in modo che i ricchi paghino più dei poveri bisogna costruire un complesso impianto di deduzioni e detrazioni tale da rendere ancor più confusa e intricata la giungla fiscale. C’è poi la nuova bandiera meloniana: “Chi più assume meno paga”. Come farà un’impresa a sostenere un eccesso di personale rispetto alla sua taglia, al suoi mercato e al suo fatturato, senza fallire? L’uovo di Colombo è ridurre le tasse alle aziende “virtuose”. Perché la misura sia efficace deve essere consistente, quindi il mancato incasso per lo stato va compensato da altre imposte (quali, su chi?) oppure da un aumento del debito. E leggendo la sfilza di defiscalizzazioni, detassazioni, decontribuzioni, tagli dell’Iva, sostegni, “sussidi più equi e universali”, pensioni anticipate, non c’è aria che l’indebitamento si possa in qualche modo ridurre.

 

La bozza di programma che abbiamo letto, insomma, parla di redistribuire una torta che non c’è o che comunque è troppo piccola. Si può (si deve) pagare meno, ma solo lavorando tutti. Servono politiche produttive prima che distributive. Non è facile, chi le ha praticate è stato attaccato dal populismo di destra e di sinistra. E la demagogia ha generato la stagnazione infelice.