La mattinata dei veleni nella Lega, in attesa del consiglio federale

Valerio Valentini

Salvini s'eclissa, ma convoca una riunione d'urgenza per evitare fughe in avanti: bisogna dettare la linea da dare ai giornali. I tre osservati speciali: Zaia, Fedriga e Giorgetti. Il fallimento clamoroso del referendum e i timori per le amministrative, soprattutto al nord

Il bollettino di giornata prevede: il più arrabbiato, quello "fuori dalla grazia di Dio", è Massimiliano Fedriga. Luca Zaia più tranquillo, "sornione". Giancarlo Giorgetti "tra il rassegnato e il mugugnante". I tre osservati speciali, nel giro stretto dei consiglieri di Matteo Salvini, sono loro. I due governatori, il ministro dello Sviluppo: l'anima governista della Lega. E' da loro che si prevede qualche frecciata, qualche presa di posizione: e forse nulla più di questo. Sta di fatto che se il segretario del Carroccio ha deciso, senza grande preavviso, di convocare d'urgenza un Consiglio federale nel pomeriggio di oggi, quando lo spoglio delle amministrative sarà ancora in corso, è perché sa che l'umore della truppa è quello che è, e il rischio di fuoco amico, di inciampi, di un corto circuito comunicativo, è alto. Per questo bisogna radunare i soldati, passarli in rassegna. Insomma, dare la linea, indicare quale dovrà essere la lettura dei fatti da fornire ai giornali, la narrazione da offrire ai militanti. 

La mattinata, a Via Bellerio, trascorre così: in un'attesa gravida di timori. Il dato certo è quello del referendum, ed è una mazzata. Salvini e Roberto Calderoli avevano indicato il 30 per cento di affluenza come linea di galleggiamento. Il quorum era impossibile, lo sapevano entrambi. E lo sapevamo pure quei segretari provinciali mandati a raccogliere le firme sotto i gazebo, che al capo facevano rapporto senza nascondere i timori: "Il clima non è buono". Non era buono. Era pessimo. Si arriverà a fatica al 20 per cento, mal contati fanno dieci milioni di elettori. Tre leghisti su quattro hanno disertato le urne: segno di una mobilitazione fallita. 

E se questo è il dato acquisito, ci sono poi i tanti solo evocati, tratteggiati da exit poll non esaltanti. Verona è sicuramente il fallimento più clamoroso, se davvero lo scrutinio confermasse le prime indicazioni. Clamoroso perché la città della destra radicale pare premiare un civico di centrosinistra come Damiano Tommasi. Clamoroso perché nel luogo del tentato armistizio tra Salvini e Meloni, uniti nel sostegno a Federico Sboarina, rischia di spuntarela il Cav. che ha puntato, insieme coi renziani di Italia viva, su Flavio Tosi. Clamoroso perché nel feudo di Lorenzo Fontana, vicesegretario del Carroccio, nel regno di Zaia, non si capisce chi è che ha sbagliato più forte. 

Genova è un trionfo. Ma non è il trionfo della Lega. Nel capoluogo ligure a stravincere è il sindaco uscente, Marco Bucci. Per gli altri ci sono le briciole. Palermo e L'Aquila presentano incognite simile. In Sicilia, l'esperimento neonazionalista di "Prima l'Italia", il simbolo con cui Salvini ha rottamato l'Alberto da Giussano giù al Sud, è chiamato al battesimo del fuoco: il gioco è valso la candela? In Abruzzo, il sindaco uscente, meloniano, accreditato di ottimi pronostici, è da mesi in rapporti assai tesi coi leghisti locali. Il confronto nel voto di lista dirà che ha avuto ragione.

E poi c'è il Nord. Lì l'uomore di chi conosce i territori non è affatto buono. Cuneo è data per persa. Gorizia si vedrà. Di Verona s'è detto. Ma i timori maggiori li presenta la Lombardia. Non solo per il destino di Como e Lodi, ma anche per le decine di comuni al voto tra Milano e Varese, nella casa madre del leghismo che fu. Anche lì, più che l'affermazione di questo o quel candidato, conteranno le preferenze andate alle liste. E anche lì, perfino lì, il derby con la Meloni si preannuncia difficile.

Per questo Salvini i suoi li vuole subito a Via Bellerio. Per suturare una ferito prima ancora che inizi a sanguinare. E intanto, ha diramato un dispaccio che sa di diversivo: che il consiglio federale di oggi poeriggio, cioè, non è solo per commentare il voto delle amministrative, ma anche per discutere della grave emergenza economica in atto. Chi è pratico delle astuzie padane, è convinto che sia una via di fuga: alle brutte, si potrà sempre parlare d'altro.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.