(foto Ansa)

amministrative 2022

Tommasi sprint: lo scudettato della Roma fa sognare anche Verona. Sfiderà o Tosi o Sboarina

Francesco Gottardi

Ha dribblato veleni, puntato nuove traiettorie. E sfruttato al massimo il caos nel centrodestra: ora l’uomo nuovo voluto dal Pd accarezza un nuovo tricolore. Mentre il sindaco uscente rischia di non arrivare nemmeno al ballottaggio

L’aveva detto: “Verona sarà il mio secondo scudetto”. E a questo punto Damiano Tommasi è quanto meno campione d’inverno. Perché gli exit poll incoronano lui. Senza se e senza ma. Poi al ballottaggio si resetta tutto, per carità, altri equilibri e altre insidie. Però intanto la città ha voluto premiare il nuovo che avanza: civico, socialmente impegnato, partito dai quartieri ed estraneo alle acredini della politica. Ora Tommasi è tutto questo, più che un ex calciatore.

Mentre Verona è una città stanca. Stanca di faide, lotte intestine, sotterfugi e cambi di casacca: tutto quel che invece sta succedendo a destra. Con Federico Sboarina e Flavio Tosi a inseguire, lontano: sarà una corsa fino all’ultima scheda per capire chi sfiderà l’uomo del centrosinistra. Non si saprà fino a lunedì pomeriggio, con lo spoglio che scatterà dalle 14. Ma le prime proiezioni diffuse stasera da Opinio Rai offrono un’indicazione affidabile. Perché la forbice numerica è talmente netta da mettere da parte ogni prudenza del caso – e di ulteriori chiamate sbagliate: Tommasi è il candidato più votato, fra il 37 e il 41 per cento. Sboarina e Tosi sono dieci punti più sotto, appaiati al 27-31. Tutti gli addetti ai lavori temevano la scarsa affluenza, un’incognita in grado di sparigliare carte e previsioni. I veronesi alla fine hanno risposto presenti: alle 19 si era recato alle urne il 37,5 per cento degli aventi diritto.

Un dato al di sopra alla media regionale e quasi in linea con le elezioni del 2017, quando alla stessa ora la percentuale si fermava al 38,5. E il salvatore dell’entusiasmo democratico è stato Tommasi. Ha convinto il suo programma inedito, la sua figura pulita agli occhi di un elettorato disilluso – “Non ho mai avuto tessere di partito”, ha ribadito lui fino all’ultima intervista. E soprattutto l’enfasi orientata al futuro, di chi ha voglia di costruire più che vena di criticare. “Purtroppo Verona si sottovaluta”, raccontava al Foglio l’ex anima candida della Roma: “Questa città può valere più della semplice realtà di provincia. Ha doti economiche importanti, ma per esaltarle bisogna rendere i cittadini partecipi: dalle scuole alla mobilità, dalla sicurezza all’inclusione”.

Dall’altra parte s’è fatta terra bruciata. “Non faremo la fine di Giulietta e Romeo”, promettevano Salvini e Meloni all’ultimo comizio in Piazza dei Signori. Invece Tosi e Sboarina potrebbero fare quella di Capuleti e Montecchi. Talmente occupati a farsi la guerra da perdere di vista tutto il resto. Il potenziale exploit di Tommasi, in questo caso. Se il sindaco uscente, alfiere di Giorgia e in teoria pure della Lega, non dovesse arrivare nemmeno al ballottaggio, per il centrodestra sarebbe una debacle clamorosa. Epocale. In un feudo amico, baricentro padano, il più popoloso del Veneto zaìsta: stanotte si dorme male in via Bellerio. Più sfaccettata la situazione di Tosi, che comunque partiva con l’handicap di essere l’unico fra i principali candidati senza sostegno di alcun partito superiore al 10 per cento su scala nazionale. Aver insidiato Sboarina è già una prova di sostanza.

Ma l’ex leghista puntava più in alto: “Torna il sindaco!”, si legge sui manifesti in giro per la città. E lui ci ha sempre creduto, davvero. Soprattutto nello sgambetto al rivale di destra. Senza curarsi troppo di chi saliva a sinistra. Forse quella di Tommasi era semplicemente un’altra partita. Per un’altra Verona.