Reportage

Parma fatale. Viaggio nel cuore della notte grillina

Simone Canettieri

Dieci anni dopo la storica conquista della città ducale, con l’elezione a sindaco di Federico Pizzarotti, il Movimento 5 stelle è scomparso. Il termovalorizzatore qui ha chiuso il ciclo dei rifiuti e pure quello dei grillini

Parma. La fine dell’ideologia grillina è alta settantadue metri. Come il camino del termovalorizzatore di Parma. Oggi però non sbuffa. Sarà in manutenzione per qualche giorno, come da prassi. Funziona solo una delle due linee di questa scatola magica. Quella per i rifiuti sanitari. Lo vedi dall’A1, non ti puoi sbagliare: questo camino sembra il campanile di una chiesa squadrata con mattoncini marroni. Un po’ Brick Lane, un po’ Pastorale padana. Per i fantasiosi, è il becco di un grosso anatroccolo con le penne d’acciaio oppure una vecchia copertina di un disco dei Pink Floyd.  D’altronde da queste parti il panorama si diverte a giocare con i simboli. Tutti ben piantati sulla pianura che guarda scorrere il lento Po e l’Alta velocità (che però si ferma a Reggio Emilia, tra gli archi di Calatrava, per antico volere prodiano, mai digerito).  

  

Insomma, a un tiro di schioppo c’è tutto. Si vede l’Ikea della globalizzazione svedese che ora sogna la Nato. Poi spunta lo stabilimento della Barilla, entità sovrastante e super partes, una sorta di Quirinale locale, ma senza messaggio di fine anno (“collaboriamo alla crescita e al benessere della nostra comunità, ma non ci intromettiamo nella vita politica: siamo presenti ma non parteggiamo”, dicono subito, con fare da cerimoniale, le emanazioni più dirette del presidente multinazionale Guido Barilla). E infine c’è il totem: il mostro che venne processato, condannato e sbattuto in prima pagina sul Sacro blog. Mostro che tale non è. Lo dicono i numeri, le Asl e l’Arpa. Ma anche i cittadini. Ormai è un dato acquisito. E’ uno di famiglia. Fa parte appunto del paesaggio. Tuttavia il termovalorizzatore rimane un feticcio esportabile. Un abito prêt-à-porter a cui ora Giuseppe Conte si appiglia per dire a Mario Draghi: “Caro premier, a Roma non sarà mai costruito, dovrete passare sul nostro corpo, è la nostra linea rossa per rimanere nel governo. Lo faccio per i nostri figli!”. Parole già sentite. Non portano bene. Lo insegna il caso Parma. Apologo vivente sui figli delle stelle e gli Anni 10.

 

Per capire come finirà nella capitale dei Cesari (e dei cinghiali) basterà aspettare che il decreto Aiuti sbarchi in Parlamento. Per chiudere i conti con il passato, invece, è di rigore un tour al Polo ambientale integrato. Il Pai, come da acronimo burocratico. Qui si incenerisce monnezza e si crea ricchezza come nel resto d’Europa.  Per chi viene da Roma c’è subito l’effetto Alberto Sordi alla Biennale di Venezia del 1978 (“Dove vai in vacanza?”, episodio “Vacanze intelligenti” con Anna Longhi). In un attimo dunque si finisce tutti bardati: trentacinque gradi all’ombra, caschetto bianco e pettorina fluo, a spasso spaesati in questa specie di museo contemporaneo. Il viaggio nella cittadella della volontà e dell’ottimismo può iniziare. Ma prima la fatidica domanda fantozziana: e adesso dove la butto la gomma da masticare? Organico, plastica, indifferenziata o la mando giù? 

 
 
Alla fine della fiera, l’impianto Iren di Ugozzolo non solo è rimasto in piedi e gode di ottima salute, ma in quasi dieci anni ha steso la politica del No, il finto ecologismo, il populismo, i girotondi purchessia, i talk del “mi faccia dire una cosa che forse non tutti sanno”. Ogni anno lavora 162mila  tonnellate di materiali (capienza massima 190mila). Serve anche i cittadini di Reggio Emilia, cugini odiatissimi “dalla testa quadra”. In cambio restituisce energia elettrica e teleriscaldamento alla città ducale e non solo. Non c’è che dire: l’impianto da quando è stato acceso ha fatto un lavorone: ha chiuso il ciclo dei rifiuti e quello del M5s (senza rincari delle tariffe, anzi).

  

Il futuro della città laboratorio. Si voterà per archiviare per sempre il grillismo qui, nell’ex Stalingrado di Beppe. Barilla (una sorta di Quirinale locale) e gli altri grandi industriali aspettano il cambio di fase

   

Anche a Parma  si voterà il 12 giugno per eleggere il sindaco. E cioè il dopo-Pizzarotti.  Questa città giallo densa, come il Parmigiano, doveva essere “la nostra Stalingrado”, come da urlo d’epoca di Beppe Grillo in piazza della Pilotta davanti a ventimila persone. E’ diventata un buco nero. Il pozzo del Movimento.  Dopo due lustri tondi, i pentastellati sono scomparsi. Puff. Inceneriti. Non si presenteranno alle elezioni. Sono una merce fuori commercio, come le cassette Vhs. Si presentano invece dieci candidati sindaco (due sono stati bloccati dal Tar) con settecento aspiranti consiglieri sparsi in una miriade di liste. Laboratorio divertente con striature nazionali.  Da segnalare: Forza Italia e Lega appoggiano Pietro Vignali, l’ex sindaco champagne, legato a Gianni Letta, travolto e semi scagionato da tutte le inchieste. E Fratelli d’Italia? Va da solo con Priamo Bocchi (noto per aver mostrato il sedere durante un consiglio comunale su Zoom ai tempi della pandemia). Del centrosinistra, senza grillini, ne parla direttamente il responsabile dell’operazione: “Ci credo che il M5s non correrà alle amministrative: non è credibile. Conte, poi, sui rifiuti sembra Salvini sulle mascherine: oscilla e poi magari cambierà idea”, se la ride Federico Pizzarotti, sindaco di Parma per ancora qualche settimana. Se gli succederà il suo assessore alla Cultura, il fresco quarantenne Michele Guerra, passerà alle cronache come un mezzo genio: ha scassato il M5s, è rimasto sul podio, ha imposto al Pd e a quasi tutto il centrosinistra (eccetto Azione) un civico della sua giunta e ha vinto. Chapeau, scranno in Parlamento, ancora titoloni. Sembra già di vederlo, gongolante.  Ci crede tantissimo. Se invece non ce la farà, magari finirà a bere Lambrusco in Oltretorrente (previo consiglio di Camillo Langone, s’intende, genius loci e autorità enoculturalgastronomica nonché incubo di tutti gli osti della zona quando c’è da scegliere un vino) o un Nocino autoprodotto a chilometro zero. 
  
Erre tipica arrotata, testa veloce, ambizioso, furbo, ormai totus politicus. Mentre parla sa cosa può far titolo per i giornalisti, in allegra processione da lui ormai da settimane. Il caso Parma. L’appuntamento è nel suo ufficio, al primo piano del Comune. E a 6,9 chilometri dal termovalorizzatore che provò a combattere armato di utopia, salvo arrendersi davanti all’evidenza delle cose, prendendola con molta sportività. Capitan Pizza prometteva le barricate. Come quelle celebri del quartiere Oltretorrente. Quelle che fermarono gli squadristi nel 1922 (“Balbo t’è pasé l’Atlantic, mo miga la Perma”, è da un secolo la scritta iconica sui muri). Invece non passerà alla storia per essere stato il nuovo Filippo Corridoni dei rifiuti.  Non gli interessa. Dalle pareti lo osservano i ritratti di Ranuccio Farnese e Alessandro Borbone (nel chiedergli chi siano confonde l’uno con l’altro, subito corretto dal suo storico portavoce, Marcello Frigeri, tipo puntuale senza velleità da Rocco Casalino). 

 

Parma ghiotta e colta, verdiana e sempre in bici, ricca e larga: questa era la piccola Parigi.  Capitale italiana per consumo procapite di champagne e di prime opere al Regio, con i temutissimi loggionisti pronti a stroncare carriere. Città di sconfinata e provinciale grandeur, industrie del food e Confindustria immanente, grandi imprese con respiro internazionale, già scrigno del gioiello tanziano Parmalat, diventata da un bel po’ francese (il fu Cavalier Calisto, decaduto e in disgrazia, è scomparso lo scorso 1° gennaio). Questo posto così malato di gigantismo che a un certo punto sognò anche la metropolitana. Nonostante la città che fu di Maria Luigia conti duecentomila abitanti, come uno dei quindici municipi romani. E alla fine si arrivò a un passo dall’opera, grazie alla legge Obiettivo del locale ministro Pietro Lunardi. Poi la metro fu bloccata.

  

 

Com’è adesso Parma? Le classifiche del Sole 24 Ore danno ragione al sindaco eretico: alta qualità della vita, ma anche tipici  problemi legati alla sicurezza (vanno molto di moda le baby gang). E come la vede dalla sua porta di casa Gigi Buffon? L’ex enfant du pays, ancora in campo a 44 anni con il sogno di ritornare in serie A magari con uno stadio nuovo, dice al Foglio: “La città? L’ho ritrovata bella, accogliente e viva per via degli universitari, come quando ero ragazzo”. Ma come si riporta in Champions, come si rilancia? “Le condizioni sono quelle di puntare sui settori nei quali è eccellenza per natura. Il food è il primo che mi viene in mente”, continua Buffon. Il portierone ha deciso di tornare a vivere in centro “perché il cuore della città, tra via Repubblica-via Farini-piazza Garibaldi-duomo-Battistero, è ciò che la rappresenta meglio”.  Ma non è più residente, quindi il 12 giugno non voterà.  Niente titolone per il giornale, ma gentilezza e disponibilità sì. Chissà cosa penserà Buffon di Pizzarotti e dei grillini? E’ impossibile saperlo. Però il Gigi nazionale conosce il carattere dei suoi concittadini. E lo tratteggia così: “Lo spirito e la mentalità del parmigiano sono peculiarità difficilmente riscontrabili in quest’èra, che è diventata un po’ più sciatta e becera. Le caratteristiche che immediatamente colpiscono sono l’eleganza, l’educazione e una certa raffinatezza nel gusto, nel comportamento e nel vestire”.

 

Cose passate di moda, appunto. Forse travolte per sempre. Langone, per esempio, è fissato con “certi orologini fini ed eleganti che le donne di qua portavano ai polsi tanti anni fa”. Così come i colori dei vestiti, belli unici come le facciate multicolor dei palazzi in via della Salute (una specie di biblioteca di copertine Adelphi, ma con le finestre).  Comunque una certezza c’è: Parma è pulita. Si incontrano i prosciutti appesi nei negozi in via Farini, mica i cinghiali a spasso  nella capitale.

  
 Irrompe Pizzarotti: “E’ ovvio che Roma abbia bisogno di un termovalorizzatore per essere indipendente e chiudere il ciclo dei rifiuti, anche se arrivasse all’ottantadue per cento di raccolta differenziata come noi.  Forse però il sindaco Roberto Gualtieri avrebbe dovuto dirlo subito in campagna elettorale che era a favore di questa tecnologia perché i cittadini si ricordano tutto. Ma sono dettagli, insomma. Bisogna essere concreti”, ragiona questo ex programmatore informatico di 48 anni, che fra un anno si vede parlamentare nel campo largo di centrosinistra. Sempre che Enrico Letta mantenga le promesse e che vada tutto bene.  Intanto Pizzarotti si è comprato un pezzo di terra in provincia, ha piantato erbe buone e ha scritto un business plan: vuole aprire una piccola azienda di distillati. 

  

Il segretario del Pd Enrico Letta, convinto dal governatore Stefano Bonaccini,  giorni fa si è palesato e  ha definito Parma “un interessante laboratorio politico da non disperdere”. Lo stesso ha detto il ministro Andrea Orlando, sabato. Non si potrebbe dire, ma anche Luigi Di Maio, di nuovo in buona con Pizzarotti, pare che abbia benedetto questa operazione nel comune degrillizzato. Questione di prospettive.

   

Parma, la prima Waterloo di Beppe Grillo. Il sindaco eretico che è diventato garantista. Le prime resistenze al termovalorizzatore, e poi “ha vinto la realtà. E’ stato il trionfo del pragmatismo”, dice il presidente della Confindustria locale. Le elezioni vicine: occhi puntati su Guerra, assessore di Pizzarotti, e sul ritorno di Vignali

  

Tocca dirlo, però. Questo sindaco di Parma con cui è piacevole parlare fu una Virginia Raggi ante litteram nella tarda primavera del 2012. Quella, fra l’altro, del terremoto in Emilia. Ignoto ai poteri che contano in una città avvezza ai fuochi d’artificio ma anche ai botti sordi, fu spinto verso la fascia tricolore grazie alle stesse dinamiche che si vedranno in Campidoglio nel 2016. E quindi inchiestona un po’ così sul Comune, scandalo, telecamere, editoriali, sindaco dimissionario (Pietro Vignali, che dopo dieci anni si ripresenta per un’impresa bestiale), gente per strada a battere sopra le pentole, e poi un “no” da scrivere tutto in maiuscolo. Quello al termovalorizzatore, equivalente delle olimpiadi raggiane a Roma. Beppe Grillo si trasferì a Parma per fare le prove della scatoletta di tonno. Gli è rimasta indigesta. Adesso gira alla larga: questa è la sua Waterloo. La prima, quella che non si scorda mai.

 

“Pizzarotti all’epoca disse che non voleva che i bambini di Parma si ammalassero di tumore e quindi voleva smontare l’impianto e portarlo in Olanda. Ma allora anche lì, in Olanda, i bambini non sarebbero morti di tumore? Rispose che lui però non governava in Olanda”, ricorda lo scrittore Paolo Nori che è nato qui, vive a Casalecchio sul Reno, ma ritiene che Parma sia “la città più bella del mondo perché ci sono nato io. E’ piena di perle uniche. I russi, per esempio, li porto a visitare il teatro Farnese”. Le elezioni? “Farò un’iniziativa per il candidato Guerra sul cervello e l’ecologia”.  

    
Intanto il sindaco eretico ha i capelli a spazzola che tendono al grigio, ormai. E’ rimasto un po’ grillino nell’anima nel modo di porsi, ma per capirlo devi parlarci almeno due ore. Per esempio ci confessa che come ultimo atto toglierà la bandiera della Russia per lasciare  solo quella dell’Ucraina dal Ponte delle nazioni. Proprio davanti all’Efsa, l’autorità europea per la sicurezza alimentare voluta dal governo Berlusconi nel 2005 (“Ho sedotto la presidente finlandese per convincerla”, dirà il Cav. riferendosi però a quella dell’epoca, Tarja Halonen, nulla a che vedere con l’eterea Sanna Marin).

 

Pizza è il grande ex M5s che si è fatto pragmatico, sviluppista, a favore del nuovo stadio Tardini voluto dal patron del club Kyle Krause, forse gli piace pure l’ipotesi della nuova pista dell’aeroporto per cargo. Per Langone “non era già più grillino appena diventò sindaco, ma non se ne accorse subito”.  Per Antonio Mascolo,  storico direttore della Gazzetta di Modena e primo responsabile dell’edizione online di Repubblica, è l’uomo che ha circumnavigato se stesso. Ma tutti, gratta gratta, gli riconoscono una dote: è una persona scaltra perché è in grado di cambiare opinione e non gli mancano il coraggio e la scelta dei tempi, che in politica sono tutto.

  

  

Adesso, per esempio, il sindaco (ormai quasi ex) è uno che critica senza balbettare le incursioni corsare e le distorsioni della magistratura nella vita già complicata delle amministrazioni (in dieci anni è stato indagato e prosciolto sei volte, se ne va con un’inchiesta ancora aperta sul groppone per truffa ai danni dello stato: da presidente del teatro Regio gli contestano di aver firmato documenti in cui si calcolava male il numero degli orchestrali).  “La stessa pm mi ha indagato cinque volte: senza mai ottenere risultati,  ma sempre la stessa pm: è normale?”. E qui sembra Matteo Renzi, che però dice di non stimare particolarmente come politico.   

 

Claudio Rinaldi dal 2019 è il direttore della Gazzetta di Parma, il giornale-stato fondato nel 1728 di proprietà dell’Upi (Confindustria locale) come la tv e la radio. Unico quotidiano della città. Vende 26 mila copie fra edicole ed edizioni digitali con la tipografia che ha ospitato e ospita ancora anche un hub vaccinale, per dire la penetrabilità nel territorio. Pizzarotti dice di non leggere la Gazzetta con molta passione, dalla Gazzetta non lo ritengono il miglior sindaco della storia cittadina. Insomma si sopportano a vicenda. Anche Rinaldi si ricorda, come tutti, un aneddoto diventato leggenda.  Quando “Beppe Grillo disse che il termovalorizzatore non sarebbe mai stato acceso e che sarebbero dovuti passare sul suo corpo, indicando Pizzarotti, al suo fianco”.  

 

Era il 22 settembre del 2012, la città era stata conquistata, la promessa elettorale era ancora appesa. Grillo ripiombò in centro per il macabro “Dies Iren”, dedicato all’odiata multiutility con capitale misto pubblico privato e  testa a Torino. Erano tempi un po’ così. Il M5s a colpi di vaffa, sognava di uscire dall’euro e Paola Taverna girava spot per il referendum, distribuendo mille lire agli avventori dei ristoranti (si trova su YouTube: fa-vo-lo-so). Alessandro Di Battista disse che si sarebbe incatenato ai cancelli  se l’impianto fosse entrato in funzione. Mai più visto. Lo sbarco a Roma, in Parlamento, con le politiche era alle porte. 

  

In verità il via libera all’opera era stato già dato nel 2009 dalla provincia. E, quando arrivò la scossa grillina, 150 milioni di euro di lavori su un totale di 190 erano già visibili. Sicché era impossibile fermarlo, salvo penali milionarie per un comune già schiacciato da 800 e passa milioni di debiti con le banche. Impossibile. Dunque questi ugonotti che presero il potere furono in malafede o sciroccati? Pizzarotti, Grillo e Gianroberto Casaleggio provarono a tenere il punto con moine da prassi: propaganda social, ricorsi al Tar, al Riesame, carte bollate, richieste di sequestro. Alla fine  il 1° marzo del 2013 venne avviata la fase preliminare dell’impianto, ormai completato: trenta giorni di prove prima dell’accensione.  Battaglia persa. “Ricevetti dei messaggi incredibili da Grillo, pieni di brutte parole, diciamo al confine con le minacce politiche”.   La relazione fra il sindaco, ormai solo e trattato come un dolore intercostale, e il resto del cucuzzaro pentastellato diventerà piano piano sempre più complicata, come certi status sui social. “Ma quando leggo le interviste contro di me, come quella di tale Riccardo Ricciardi, per giunta uno dei vicepresidenti, che mi rinfaccia di sputare sul piatto dove ho mangiato, capisco che esistono ancora i grillini da bacheca Facebook: pazzesco, no? Contenti loro”. 

  

 Per chiudere questa parentesi: Pizzarotti nel 2016 sarà sospeso con una mail dall’anonimo staff del M5s per aver omesso a Grillo di aver ricevuto un avviso di garanzia legato alle nomine del teatro Regio (concorso in abuso d’ufficio: storia archiviata). E  dopo qualche giorno, a ottobre, deciderà di giocare d’anticipo: uscirà dal Movimento, portandosi dietro la maggioranza. Creerà “Effetto Parma”, lista civica, formula qui molto in voga da sempre, con la quale vincerà nel 2017: 34,7 per cento al primo turno, grillini al 3. Seguirà il ballottaggio vinto in carrozza contro Paolo Scarpa del Pd, partito con il quale adesso Il Pizza è alleato nella corsa per Michele Guerra. 

Tutta questa storia il camino del termovalorizzatore la conosce benissimo. Ma se ne infischia. Al massimo sbuffa. E non solo lui.  “Dopo dieci anni posso dirlo: ha vinto la realtà. E’ stato il trionfo del pragmatismo, a tutti piacerebbe non morire ma prima o poi tocca. L’impianto serviva e non si poteva fermare: stop. Sono stati anni complicati per Parma, come per il resto d’Italia, anni in cui l’inseguimento delle ideologie e degli umori non hanno aiutato la crescita del paese. Io non sono un tifoso, ma giudico i fatti nel merito”, dice Cesare Azzali, da ventuno anni direttore della Confindustria locale. Un potere che annovera marchi tipo: Barilla, Mutti, Parmalat, Chiesi, Pizzarotti costruzioni, Bonatti, Davines, Leca Laterlite e via discorrendo. Grillo arringava le folle e terrorizzava tutti annunciando prosciutti alla diossina. “La qualità dell’aria qui a Ugozzolo – dice Mauro Pergetti, direttore  impianti Iren ambiente – non mostra differenze rispetto ad altre zone. Lo dicono i dati dell’Istituto superiore di sanità, delle aziende locali sanitarie e dell’Arpa che monitorano tutto in maniera costante. E lo stesso possono fare i cittadini sul nostro sito”.  

  

Prima di entrare nella pancia dell’impianto si viene accolti da una serie di grandi cartoline sempre con lo stesso soggetto: Bolzano, Ingolstadt, Brescia, Was Wels, Milano, Venezia, Rotterdam, Vienna, Tokyo, Copenhagen. Sono le foto dei termovalorizzatori sparsi in Italia, in Europa e nel mondo. “Anche Raggi da sindaco mandò i suoi tecnici a studiare questo impianto, ma appena si venne a sapere prese le distanze da loro: disse che non li aveva autorizzati. Fa ridere no?”, ricorda ancora Pizzarotti, che sembra divertito e sereno da tutta questa storia. Le normative Ue a cui Conte si aggrappa alla fine prevedono una gerarchia chiara nella gestione dei rifiuti: prevenzione (produrne di meno), riutilizzo, riciclo (e quindi recupero per esempio di energia) e, solo da ultimo, la discarica. Nonostante la raccolta differenziata a Parma superi l’ottanta per cento (a Roma non arriva al cinquanta) c’è una parte che deve essere comunque lavorata per non finire nella Malagrotta di turno o essere portata all’estero. 

 

Si respirano indipendenza e autarchia a Ugozzolo, in un’area verde di cinquanta ettari, con 15 mila alberi. La differenza tra i vecchi inceneritori e questi impianti è come quella che passa fra i primi motori a gasolio e gli attuali euro 6. Da qui si produce e si immette nella rete nazionale elettricità ed energia termica che serve al teleriscaldamento della città. Come dimostrano i dati visibili e consultabili, le emissioni sono ben al di sotto dei parametri consentiti. Anzi Iren  decise di abbassarne la soglia ancora di più.  Monossido di carbonio, ossido di azoto, ossido di zolfo, acido fluoridrico, acido cloridrico, ammoniaca, pm10, polveri totali. E’ tutto visibile da una sala operativa, una specie di Viminale della monnezza, pieno di schermi con flussi, dati, percentuali. Qui dentro lavorano 40 persone. Il resto lo fa la sempre benedetta tecnologia. Ai cancelli entrano ed escono di continuo camioncini di rifiuti urbani residui della raccolta differenziata domestica e del trattamento meccanico-biologico. Poi quelli speciali: fanghi provenienti da impianti di depurazione, scarti da attività di recupero, rifiuti speciali non pericolosi derivanti da attività produttive non recuperabili, scarti da lavorazioni artigianali.

 

Ciascuna linea di termovalorizzazione è dotata di generatore di vapore a recupero di calore. Il ciclo termico a vapore ha il compito di convertire il vapore prodotto in caldaia dalla combustione dei rifiuti in energia elettrica, tramite una turbina a vapore, e di fornire vapore per il teleriscaldamento. 

 
“L’impianto serviva, ma forse bisognava scegliere una location meno impattante”, rileva Annalisa Sassi, 46 anni, a capo delle aziende di famiglia che operano nel settore alimentare: Casale, Prosciuttificio San Pietro e Selva Alimentari. Dallo scorso aprile è presidente regionale di Confindustria. “Non voglio parlare di elezioni, ma posso dire che c’è stata una programmazione. La si è vista con Parma capitale della cultura, esempio di collaborazione fra pubblico e privato, nonostante la pandemia”. 

 
Forse questo è un assist a Michele Guerra, assessore alla Cultura della giunta pizzarottiana. Docente ordinario – lo è diventato a 36 anni – all’Università di Parma. Insegna cinema, fotografia e televisione. Una moglie e due figli. Nel 2012 era già a favore del termovalorizzatore e votò l’anti Pizzarotti, il bersaniano Vincenzo Bernazzoli, l’usato sicuro che alla fine perse al ballottaggio fornendo benzina al nascituro rottamatore Matteo Renzi. “Finora sembra un film di fantascienza questa campagna elettorale, ma per fortuna non è ancora scaduta nella commedia italiana”. Il suo slogan elettorale la dice tutta: ho scelto il futuro. Un modo carino per affrancarsi comunque da Pizzarotti, senza darlo troppo a vedere. E’ sostenuto dal Pd che per cinque anni gli ha fatto la guerra in consiglio comunale. “Siamo riusciti a tenere tutti insieme: siamo passati dal conflitto, ai negoziati, fino alla pace”, aggiunge Michele Vanolli, giovane segretario dem cittadino, ovviamente dotato di bici. 

 
Guerra dice che al ballottaggio non userà l’arma del giustizialismo, anche se la tentazione, pare di capire, c’è, eccome. Perché il grande personaggio di questa opera verdiana è Pietro Vignali, commercialista e soprattutto sindaco dimissionario nel 2011 sotto i colpi di un’inchiesta che terremotò il Comune, il centrodestra e fu l’innesco del grillismo, a Parma e in Italia. Fu indagato per la presunta assunzione clientelare di 18 dirigenti del Comune di Parma e l’accusa di danno erariale da 3 milioni di euro. Dopo dieci anni di calvario è stato scagionato da tutte le accuse nel marzo 2020, dopo il riconoscimento da parte del pm dell’insussistenza della notizia di reato e della presenza di una serie di errori investigativi. Il tribunale di Bologna lo ha riabilitato. “Ho certificati che dicono che le mie dimissioni furono indotte e mi è stato anche dato un risarcimento di 5.600 euro che per il momento non voglio prendere”, racconta seduto in un divanetto dell’hotel Maria Luigia. 

 
Nel 2013 con Pizzarotti in carica Vignali sarà arrestato ai domiciliari per via di un’altra inchiesta. Questa volta per peculato e corruzione. Pena patteggiata di due anni. Lui la spiega così: “Dovetti corrispondere anche al Comune di Parma un risarcimento da oltre mezzo milione di euro per chiudere la vicenda processuale a mio carico. Mi sequestrarono appunto l’appartamento, che avrei dovuto vendere per pagarmi gli avvocati, e alla fine decisi di patteggiare nel 2015. Non avevo soldi né lavoro. Ma adesso sono qui: voglio riscattarmi, la gente mi vuole bene”. Lo vedono regalare fiori ai passanti. In effetti i tassisti fanno tutti il tifo per Vignali. Anche gli anziani, vittime della nostalgia, sembrano volerlo richiamare in servizio. Salvo sorprese andrà al ballottaggio. Nonostante Fratelli d’Italia non lo appoggi (Giorgia Meloni è attesa a fine mese). Anche la Lega prima aveva un altro candidato, ma dopo un intervento diretto di Arcore, e in particolare di Gianni Letta, Matteo Salvini ha scelto di virare sull’ex sindaco (qui ha mandato il braccio destro Nicola Molteni). Quello che teneva il centro storico come un salotto di casa in un sistema che alla fine è imploso fra i debiti. “Noi con tanti sacrifici li abbiamo ripianati: ora sono intorno ai 200 milioni fra quelli del Comune e quelli delle partecipate”, dice Guerra, lo sfidante. Entrò in Comune per seguire un progetto con l’università. Era il braccio destro del rettore Loris Borghi, suicida nel 2018 dopo aver ricevuto un avviso di garanzia (abuso d’ufficio) nell’inchiesta “Pasimafi” sulla terapia del dolore. “Non ho mai preso un euro”, scriverà nella lettera d’addio.   

 
Quanta nostalgia si respira qui a Parma, altro che diossina. E proprio per puntare sull’effetto “come eravamo”, Vignali ha deciso di mettere in lista Marco Osio, per  Boys, quelli della curva del Tardini, “il sindaco Osio”. Vignali lo incontra per una foto social in Cittadella, il parco dove il Parma di Nevio Scala andava ad allenarsi. Con la partitella finale in mezzo ai pensionati, senza recinzioni. Come usciti dalla macchina del tempo eccoti davanti Osio, Apolloni, Melli, Pulga e Donati. I leoni di Wembley, quelli che portarono a Parma la Coppa delle Coppe e un anno prima la Coppa Italia. Scatta un giro di palleggi fra queste ex glorie sul pratone ormai scalcagnato. 

 
La nostalgia si combatte a colpi di salumi da queste parti. Come quelli immortalati da Enrico Robusti, pittore della parmigianità e protagonista con la sua esposizione all’ultimo Cibus. Primavere di culatello e spalla cotta.  Non rimane che l’affettazione liturgica con un bicchiere di lambrusco Mestri. Al bar Tabarro in via Farini c’è chi brinda al termovalorizzatore e alla fine di un’utopia lunga dieci anni: il grillismo.  Ma ti ricordi come eravamo?
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.