(Foto di Ansa) 

Calenda ateo devoto

Giuliano Ferrara

Un politico liberale e riformista parla oggi come parlava Benedetto XVI. La sua svolta antirelativista e ratzingeriana lascia ben sperare

C’è una novità rilevante nel panorama italiano. Un uomo politico vivace e maturo, convenzionalmente considerato il poulain della scuderia tecnocratica globalizzante, ma che ha compiuto un piccolo significativo miracolo politico prendendo da solo il 20 per cento dei voti a Roma nella battaglia per il Campidoglio, si distacca con radicalità dalle premesse ordinarie che gli sono attribuite in ragione del suo curriculum vitae. E firma a sorpresa un manifesto antirelativista di tipo ratzingeriano. Stiamo parlando di Carlo Calenda e del suo libro sulla “Libertà che non libera” e sulla riscoperta del “valore del limite” (La nave di Teseo). I suoi detrattori diranno che è in cerca di basi più solide di quelle di cui dispone, e si disporranno a polemizzare con il politicante improvvisatosi filosofo o storico o antropologo; ma credo che anche parecchi tra i suoi amici tecnoliberali e iperlaici, con sconforto appena dissimulato, pensino che questo Calenda bacchettone si sia solo perduto in un suo “momento Kirill”, che Calenda abbia assunto, in mancanza di meglio, toni moralistici che probabilmente gli derivano anche dalla sua origine valdese, dunque settaria. E diffidano di questa ricerca di una chiave per così dire ideologica, esercitando la amichevole diffidenza nell’arte dell’indifferenza o del silenzio più o meno corrivo verso la strana alzata d’ingegno.          

In realtà basta leggere il breve manifesto introduttivo del saggio, in attesa del resto, per capire che si tratta di una faccenda molto seria. Una faccenda che dovrebbe, in un paese accorto e intelligente quale noi siamo, suscitare un bello scandalo ideologico e politico, non un’alzata di spalle o una chiassata in favore dell’individualismo libertario criticato e negato dall’autore. Fossero vivi polemisti del calibro di un Pasolini o di un Pannella, avremmo di che discutere e confliggere in modo impegnativo e anche, perché no? edificante e divertente.  
Infatti se confrontate le pagine dell’introduzione, intitolate “L’occidente dall’oblio all’incubo”, all’omelia celebre di Joseph Ratzinger nella messa Pro eligendo Pontifice, con la superba denuncia del relativismo etico, dell’uomo moderno senza bussola e prigioniero “dell’io e delle sue voglie”, otterrete l’effetto tondo e perfetto di una sovrapposizione o, per dirla nel linguaggio della globalizzazione linguistica, di un overlapping. Il candidato a una leadership liberale e riformista fondata su una libertà circoscritta da serietà e responsabilità, una libertà che libera davvero, parla oggi esattamente come parlava il candidato al soglio di Pietro nella chiesa cattolica di una ventina d’anni fa.

Calenda parte con una tirata magistrale di Giuseppe Mazzini, il doverista, contro l’individualismo dei materialisti. Si presenta senza giri di parole come un “politico che ritiene indispensabile mettere al centro del suo pensiero e della sua azione la questione dell’etica”. Secondo lui non riusciamo a “ordinare” la crisi del mondo occidentale nel nostro schema mentale “perché l’idea stessa di ordine è diventata estranea alle nostre coscienze” e critica vivamente “una società a cui manca un ordine morale, un ethos, in conseguenza della progressiva cancellazione di ogni idea di limite nella sfera dell’azione pubblica e privata”. Cita John Stuart Mill, non Sant’Agostino, certo, sebbene si avvalga dell’analisi anti individualistica e critica dei diritti di una filosofa agostiniana laica, Emma Fattorini, ma la sostanza è che “l’esistenza di un ordine morale è fondamentale affinché una società libera non perda il collante sociale”, e respinge l’idea che la ricerca di risposte alla domanda sul “come vivere giustamente” sia “reazionaria e bigotta”. Fa appello, e sì che l’uomo Calenda è anche un bel carattere o caratterino, come si dice, a “tenere sotto controllo la hybris dell’uomo moderno, l’orgoglio che si manifesta con un atteggiamento smodato e insolente che sfida ogni autorità o precetto”.

E approda, passando per l’oracolo di Delfi e il politeismo greco con la sua idea di giustizia, al pensiero romano di epoca repubblicana, affermando che “quell’ethos aveva trovato un equilibrio giusto tra ordine sociale e libertà dell’azione individuale”, ponendo le basi, ma questo Calenda lo trascura un poco, per la religione civile su cui in parte si modellerà anche la cristianità di epoca costantiniana. Calenda si dice un non credente che ha però bisogno di un ancoraggio, e se lo fa dare da Bertrand Russell: finita l’èra della religione dogmatica, venuto meno l’affetto divino, dovrai prendere da solo la più grave delle decisioni, distinguere il giusto dall’ingiusto. D’altra parte, non è questione astratta di “valori”: Calenda è contrario alla “secolarizzazione forzata delle nostre società” e riconosce “il valore fondamentale del cristianesimo come radice dell’uomo occidentale”. Insomma, quando lo spirito è stanco, legge (come racconta) il salmo di Davide, perché “nessuno è in grado di affrontare la vita senza pensare anche per un solo momento di affidarsi completamente a una rassicurante e benigna forza ultraterrena”. Con la sua intelligente e maliziosa cattiveria, il compianto Beniamino Andreatta iscriverebbe Calenda nella filiera degli atei devoti, ma sarebbe il primo a sapere che è solo una ipersemplificazione.

Resta un problema serio. Distinguere il giusto dall’ingiusto, il bene dal male, è escluso come programma dal pensiero relativista e avalutativo. Ora che Calenda si è espresso contro la “dittatura del relativismo”, che libera una falsa libertà dell’io e delle sue voglie, ci farà sapere che cosa pensa dell’aborto come diritto, del diritto a morire cosiddetto, e della sua codificazione legislativa, cosa pensa della genetica e della bioingegneria applicate alla generazione di esseri umani come produzione a mezzo di esseri umani, in nome del diritto al figlio sano, e che cosa pensa della teoria del gender e dell’educazione al fluido, in una parola del radicalismo Lgbtq+ e di molte altre tendenze che hanno portato, in materia di armonizzazione dell’io e della comunità, agli esiti della cancel culture. C’è il resto del libro da leggere, con un “anticipo di simpatia” (come scriveva Ratzinger presentando la sua biografia di Gesù). Sarà bello se le premesse avranno uno svolgimento.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.