Esclusiva. Benedetto XVI ci spiega da dove nasce la crisi dell'uomo europeo

Matteo Matzuzzi

“La crisi dell’Europa, prima ancora di essere politica, degli stati e delle sue istituzioni, è una crisi dell’uomo”, ci dice B-XVI. La chiesa, l’antropologia, i veri riferimenti di un continente. Un’idea fogliante per un prossimo Sinodo

Roma. In una recente occasione di conversazione con il Foglio, il Papa emerito Benedetto XVI ha detto che “la crisi dell’Europa, prima ancora di essere politica, degli stati e delle sue istituzioni, è una crisi dell’uomo. La crisi è innanzitutto antropologica. Un uomo che ha perso ogni riferimento di fondo, che non sa più chi è”. Che ti è successo, Europa?, domandava Papa Francesco ricevendo il Premio Carlo Magno nel 2016. Perché oggi in Europa le chiese chiudono, vengono vendute come accade a Vienna – lo ammise anni fa il cardinale Christoph Schönborn durante un suo lungo intervento nel Duomo di Milano che questo giornale riprodusse integralmente. Troppo alti erano i costi di manutenzione – e sovente trasformate in locali che con il culto nulla hanno a che fare? A Utrecht hanno venduto perfino la cattedrale. Servirebbe forse capire se la strada da intraprendere è quella à la tedesca, indicata nelle tesi d’un Sinodo che lì si vorrebbe vincolante e che il Vaticano ha detto che vincolante non può essere. La modernità richiede, come sostiene il cardinale Reinhard Marx, apertura alle donne, revisione del celibato sacerdotale, discussione sul potere clericale e sulla morale famigliare? Come si vede, non c’è troppa differenza tra l’ordine del giorno del Reno e quello del Rio delle Amazzoni. Programmazione, maquillage, burocrazie da rivedere e canoni da stravolgere paiono essere le ricette per ravvivare la fiamma della fede nel Vecchio continente. Quasi che allentando la cinghia, il problema si risolva quasi in modo automatico. Forse però il problema è un altro.

  

Il Sinodo sull’Amazzonia è al suo ultimo atto, oggi i padri voteranno il documento finale che sarà poi portato all’attenzione del Papa. Sarà lui, Francesco, a decidere il da farsi. È quasi certo che nei primi mesi del nuovo anno firmerà l’esortazione apostolica che indicherà la strada. D’ecologia, ambiente, clima e sfruttamento territoriale s’è discusso per tre settimane nell’Aula nuova, ma l’attenzione era tutta per la disputa sul celibato sacerdotale e il ruolo delle donne, da trasformare in “diaconesse” tanto per smentire l’adagio secondo cui uno dei mali della chiesa di oggi è il clericalismo. Problemi veri, a ogni modo: il fatto che intere comunità vedano un prete una volta all’anno non può lasciare indifferenti. Altro che destino delle statuine lignee buttate nel Tevere (che sono state ritrovate, ha annunciato Francesco ai padri sinodali). Che poi la soluzione a tutti i problemi consista nel trasformare in sacerdote (di seconda classe) l’anziano del villaggio, crea più d’un dubbio, nonostante le granitiche certezze del relatore generale cardinale Cláudio Hummes e del prelato-vescovo Erwin Kräutler, convinto che “gli indigeni non capiscono il celibato” (l’ha smentito l’unico prete indigeno presente al Sinodo). Ma i problemi restano, e non sono propri solo del variegato contesto amazzonico. I sacerdoti mancano ovunque, nell’Europa dormiente e perfino nell’Italia, dove non si contano più – tante che sono – le messe cancellate per mancanza di presbiteri. E allora perché non indagare le ragioni che hanno ridotto l’Europa nelle condizioni in cui si trova? Negli anni Novanta si sono tenute due assemblee speciali, il Terzo millennio stava arrivando e serviva fare il punto della situazione dopo il crollo del Muro e la convinzione in qualcuno che davvero la storia fosse finita. Da allora, però, il mondo è cambiato, ancora una volta. La chiesa stessa è cambiata, il poliedro è diventato la bussola, la periferia è la meta prediletta per gli operatori dell’ospedale da campo. L’Europa per Francesco esiste, l’ha detto più volte: mancano i leader – del calibro di Schuman, Adenauer, De Gasperi – e una visione profetica. Però la crisi drammatica dell’Europa cristiana non è, legittimamente, tra le priorità dell’agenda bergogliana, che lo sguardo lo volge a sud, dove ribolle un mondo da evangelizzare con la testimonianza e la buona novella. La crisi, diceva Ratzinger, è dell’uomo: crollata ogni evidenza, arrivata impetuosa l’onda secolarizzante, si sono persi i riferimenti. Sarebbe utile fare proprio l’interrogativo posto da uno dei circoli minori sinodali (quello moderato da mons. Filippo Santoro che aveva come relatore il cardinale prefetto per la Dottrina della fede, mons. Luis Ladaria Ferrer S.I.): più che studiare soluzioni espresse, tappi per chiudere le falle, non sarebbe più utile domandarsi perché prima della rivoluzione antropologica pasoliniana c’era un popolo cristiano e oggi di quell’ethos rimane nulla o poco più? Domande per una prossima assemblea di vescovi. Senza canoe e Pachamama a distrarre.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.