Dall'Anm alle scuole

Le adesioni flop agli scioperi mostrano un carattere sottovalutato dell'Italia: la disciplina

Claudio Cerasa

Se c’è un vero pensiero unico da combattere, forse è proprio quello di chi considera l’Italia che urla come più degna di essere rappresentata rispetto all’Italia che ragiona. Indagine su un fenomeno formidabile

È la disciplina, bellezza. L’adesione decisamente bassa registrata due giorni fa a Milano durante lo sciopero nazionale indetto dall’Associazione nazionale magistrati per protestare contro la riforma dell’ordinamento giudiziario della ministra Marta Cartabia ha rimesso di fronte agli occhi degli osservatori un tema trascurato dai salotti di molti talk-show. Il tema lo si può facilmente inquadrare se si inserisce il dato dello sciopero dell’Anm – a scioperare è stato il 48,4 per cento della categoria, una percentuale infinitamente più bassa rispetto all’85 per cento delle adesioni raccolto 12 anni fa, ai tempi dell’ultimo sciopero generale – all’interno di un fenomeno più ampio che riguarda un dato sorprendente del carattere dell’Italia: non, come si potrebbe pensare, una cosa dell’Italia lontano dall’estremismo, perché ogni sciopero anche quello meno comprensibile è pur sempre un esercizio di democrazia, ma una corsa formidabile dell’Italia verso una stagione della disciplina, all’interno della quale i fatti contano infinitamente di più delle parole.

 

C’è una disciplina legata alla guerra, mostrata dalla distanza siderale che esiste tra le dichiarazioni dei partiti (basta armi offensive all’Ucraina) e i voti dei partiti in Parlamento (sì alle armi offensive all’Ucraina). C’è una disciplina legata alle vaccinazioni (nonostante la presenza di molti leader Nì vax l’Italia è ancora oggi uno dei paesi europei con il più alto tasso di vaccinazione: 80 per cento contro una media dell’Ue del 73). C’è una disciplina del sistema politico, mostrata dai partiti che nonostante mille difficoltà hanno affrontato due grandi crisi con una maggioranza parlamentare ampia che (per il momento) piuttosto che andarsi a ridurre si è andata a rafforzare (Giorgia Meloni sulla guerra è più vicina al governo di molti partiti del governo).

     

Ma più in generale, se si mettono insieme i fili, si noterà che la ricerca della disciplina è stato uno dei veri tratti del carattere italiano emerso nella stagione dell’emergenza. È successo l’8 giugno del 2020, in piena pandemia, quando lo sciopero convocato da tutti i sindacati della scuola registrò un’adesione choc, l’uno per cento. È successo a settembre del 2021, quando lo sciopero indetto da tutti i sindacati della scuola, per protestare contro le norme che avevano introdotto l’obbligo di green pass per insegnare, registrò un’altra adesione choc, ancora l’uno per cento. È successo ancora nel 2021, a dicembre, quando un altro sciopero convocato dai sindacati della scuola per protestare contro la prima manovra di bilancio voluta dal governo Draghi si è concluso con un’adesione intorno al sei per cento. È successo poi, ancora, il 10 dicembre 2021, il 16, quando lo sciopero generale indetto dai sindacati contro il governo non solo è stato indetto senza la partecipazione di un sindacato, ovvero la Cisl, ma è stato indetto raccogliendo un’adesione, all’interno delle imprese, pari al 5 per cento a livello nazionale.

 

E poi, seppure in circostanze diverse, è successo anche in altre occasioni. È successo nell’ottobre del 2020 quando a Roma furono annunciate masse oceaniche di italiani desiderose di protestare contro i provvedimenti voluti dal governo per arginare il Covid-19 e quando alla fine le persone che si ritrovarono in piazza San Giovanni per la Marcia della liberazione furono poco meno di 7 mila (stessa scena a febbraio, quando, sempre a Roma, furono annunciate masse oceaniche di italiani desiderose di protestare contro “la dittatura sanitaria europeista”: alla fine furono un pugno di persone in giro per la città).

 

Se si guarda al conflitto delle parole, l’Italia che strepita sembra essere più forte rispetto all’Italia che non strepita. Se si guarda ai fatti, invece, l’Italia che cerca una disciplina è molto più forte rispetto all’Italia delle parole. Se c’è un vero pensiero unico da combattere, in tv, forse è proprio questo: il pensiero di chi considera l’Italia che urla come un’Italia più degna di essere rappresentata rispetto all’Italia che ragiona.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.