Di fronte al flop dello sciopero l'Anm adotta la strategia dello struzzo

Ermes Antonucci

Meno di una toga su due ha partecipato all’astensione di lunedì contro la riforma Cartabia, ma i vertici dell’Associazione nazionale magistrati non sembrano intenzionati a prendere atto del fallimento dell’iniziativa

Di fronte a uno dei più grandi fallimenti della sua storia, l’Associazione nazionale magistrati ha scelto di adottare la strategia dello struzzo: infilare la testa sotto la sabbia, cercando di ignorare testardamente ciò che è accaduto e sperando che nessuno ne chieda conto. Il botto, però, c’è stato: la maggioranza dei magistrati (il 52 per cento) non ha aderito allo sciopero di lunedì contro la riforma dell’ordinamento giudiziario e del sistema elettorale del Csm, indetto dal proprio sindacato, quello che in teoria dovrebbe rappresentarli. Meno di una toga su due ha partecipato all’astensione, eppure ai vertici dell’Anm questo dato non sembra interessare.

 

Il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, non ha sotterrato l’ascia di guerra contro il Parlamento (accusato di aver scritto una legge “poco conforme allo spirito della Costituzione”) e ha individuato la ragione della scarsa adesione dei colleghi allo sciopero nella “spaccatura generazionale”: “I giovani colleghi sono preoccupati, quelli più anziani mostrano forse un eccesso di disincanto”. Il segretario del sindacato delle toghe, Salvatore Casciaro, si è persino spinto a dichiarare che lo sciopero “non è stato un flop” e che, anzi, “in un contesto generale non facile c’è stato un livello di adesione all'astensione intorno al 50 per cento comunque importante”. Eugenio Albamonte, segretario della corrente di sinistra Area, in prima linea nella mobilitazione, ha addossato le colpe della bassa adesione alla “grande campagna che è stata fatta contro lo sciopero dei magistrati, che ovviamente colpisce anche gli stessi magistrati, nel senso che leggiamo i giornali, guardiamo la televisione, seguiamo le agenzie e così via”. Un componente del comitato direttivo dell’Anm sui social network ha commentato la notizia del flop con queste parole: “Pazienza, guardiamo avanti”.

 

Insomma, nessuno ai vertici dell’Anm sembra intenzionato a prendere atto del fallimento dell’iniziativa e ad assumersi le responsabilità del suicidio politico compiuto. L’appello alla mobilitazione (fallita) si è così trasformato in una corsa alla giustificazione e all’attenuante, talmente imbarazzata – e imbarazzante – da assumere a tratti le forme di una presa in giro nei confronti dell’opinione pubblica. Lo sciopero è stato “una richiesta di ascolto” alla politica, ha ribadito per esempio il segretario dell’Anm Casciaro, senza specificare però, come ricordato dal sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto in un’intervista a questo giornale alcuni giorni fa, che durante l’iter di elaborazione del testo di riforma l’Anm è stata ascoltata dal governo e dal parlamento ben sette volte.

 

Colpisce, del resto, che il distretto giudiziario in cui si è registrata la minor percentuale di adesione allo sciopero (il 23 per cento) sia stato quello della Cassazione, al quale appartengono proprio Santalucia e Casciaro. Insomma, i primi a non credere agli allarmi sulla perdita di autonomia e indipendenza della magistratura sono stati proprio i colleghi dei vertici dell’Anm.

 

La strategia dello struzzo, tuttavia, sembra aver contagiato anche la base della magistratura. Nonostante la figuraccia dello sciopero, la mailing list dell’Anm resta silente. Nessuno sembra intenzionato a dichiarare pubblicamente ciò che pensa (e rivela) in privato: di fronte a un flop del genere, la dirigenza dell’Anm dovrebbe dimettersi e si dovrebbe andare a nuove elezioni del comitato direttivo centrale. Aprire una crisi ai massimi livelli dell’associazione proprio in questa fase, con il disegno di legge “incriminato” ancora in discussione al Senato, potrebbe portare l’Anm a giocare un ruolo ancora più marginale a livello politico e costituire un ulteriore momento di perdita di credibilità di fronte ai cittadini.

 

Ignorare i problemi, però, non sembra essere la via migliore. Con la strategia dello struzzo, la magistratura rischia di soffocare.