(Foto di Ansa) 

Il commento

La Vigilanza Rai vuole stanare i putiniani in tv attraverso gli 007. Un comico degrado tardo sovietico

Salvatore Merlo

La proposta grottesca di affrontare un problema editoriale affidandosi al Copasir e ai servizi segreti fa capire che idea abbia il Parlamento dell'informazione

Certi sforzi di creatività devono dare ai nostri rappresentanti in Parlamento un brivido d’eccitazione. State bene attenti. “Va convocata d’urgenza un’audizione congiunta di Vigilanza  e Copasir”, hanno detto alcuni deputati della Vigilanza Rai, che sarebbe all’incirca  lo strumento attraverso cui l’editore, il Parlamento, controlla la Rai (e mentre controlla, ovviamente, ci porta dentro anche i suoi interessi, compresi i più patetici: far lavorare questo o quella, promuovere una fiction, farsi invitare nel salotto del pomeriggio). E va bene. E perché mai va convocato il Copasir, cioè l’altra evanescente (si fa per dire) struttura parlamentare che si occupa dei servizi segreti? “Va convocata perché bisogna capire”, badate bene, “se gli ospiti che alla Rai amplificano la propaganda del Cremlino si muovano come rappresentanti della stampa estera o come funzionari del governo di Putin”. Ecco. Per prima cosa occorre superare l’impressione immediata di essere in presenza di un gruppo di deputati ormai giunti alle frontiere del Cottolengo. Posto infatti che nessuno in Italia ha mai ben capito a che cosa servono e che cosa esattamente fanno Copasir e Vigilanza, la domanda sorge spontanea: va bene, chiamiamo il Copasir, e poi che succede? Chiedono ai servizi segreti se la signora Nadana Fridrikhson, ospite  di Bianca Berlinguer, è pagata da Putin? Ma davvero c’è bisogno del Copasir per scoprire che una giornalista russa non assassinata come la Politkovskaja, non avvelenata come Navalny, non sotto processo come Marina Ovsyannikova, una  che per giunta parla bene di Putin, è una putiniana? Diceva James Whitcomb Riley che “se sembra un’anatra, se nuota come un’anatra e se starnazza come un’anatra, allora è un’anatra”.


E insomma, come ben si capisce, il problema non è solo quello dei propagandisti russi in televisione o dei bislacchi e mitomani italiani che gli fanno il coro. Sono lì davanti a tutti. Uno li vede, li riconosce al volo, non solo in Rai, e se vuole cambia canale. Che il baraccone televisivo sia animato da sociologi posseduti, filosofe invasate, mattoidi, urlatori e ammiratori di Putin è già di per sé degradante per la televisione italiana senza il contributo grottesco (e tardo sovietico) della commissione di Vigilanza che vuole 007 per scoprire che – mizzica! – l’acqua è bagnata. La sola idea di delegare al Copasir una questione editoriale, infatti, non soltanto è ridicola, ma è parte del degrado televisivo: fa capire che genere di idee abbia il Parlamento a proposito dell’informazione. Sky, in Gran Bretagna, ha ospitato in diretta Peskov, in pratica il portavoce di Putin. E lo ha fatto letteralmente a pezzi, sottoponendo la sua faccia di bronzo alle attenzioni di giornalisti preparati e incalzanti. In Italia invece va in onda, tra gli altri, un oscuro professorino che faceva male i suoi studi alla Luiss e che ora sembra diventato come Benigni nel famoso film di Woody Allen, l’uomo qualunque che all’improvviso senza un apparente motivo viene cercato da tutti:  lo inseguono, lo intervistano, vogliono sapere persino quale crema da barba usa. Finché un giorno tutto questo non finisce, così come era iniziato. Senza una ragione. Nessuno se lo fila. E Benigni che fa? Non si dà pace: “Ma non ti ricordi? Sono io! Non vuoi sapere cosa ho mangiato stamattina?”. Ecco. Se la Vigilanza ci fa il piacere di farsi da parte assieme al Copasir, che può di conseguenza tornare a occuparsi dei pranzi di Conte in piazza delle Coppelle a Roma, finirà probabilmente così. Alla Benigni. Per tutti. Anche per i conduttori che cominciano ad assomigliare, pure fisicamente, alle macchiette che mandano in onda. Fateci caso. E’ una comunità di destino.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.