Missili di Mosca su Kyiv durante la visita Onu. I tre messaggi della Russia

Micol Flammini

L'attacco durante la visita del segretario generale Guterres. Putin si tira fuori dall'ordine mondiale di cui faceva parte e pianifica nuovi referendum a Donetsk, Luhansk e Kherson. Annettere questi territori non conviene a Mosca, ma non tutte le decisioni prese finora sono razionali

L’esercito russo ha ricominciato a  colpire Kyiv, e lo ha fatto proprio durante la visita del segretario dell’Onu, Antonio Guterres.  Segnale del fatto che Mosca è contro l’ordine mondiale di cui faceva parte,  non    è interessata alla pace e invita anzi a stare lontano  chiunque  cerchi di mediare:  prima di andare nella capitale ucraina, Guterres era stato  da Vladimir Putin, il quale gli aveva detto che non  farà passi indietro. La Crimea è sua e pure il Donbas. 

 

Nella regione orientale dell’Ucraina, però,  l’“operazione di liberazione” russa avanza a singhiozzo,  e Denis Pushilin, il capo dell’autoproclamata Repubblica di Donetsk, ha detto che la parata del 9 maggio non ci sarà:  il rischio di attacchi è troppo alto, quindi meglio rinviare tutto a dopo la vittoria definitiva. La precisione dell’esercito ucraino e la capacità, dimostrata finora, di compiere anche quello che sembrava impossibile, diventano qualità sempre più temute da chi deve confrontarsi con la guerra che ha contribuito a scatenare.  A temere gli attacchi di Kyiv sono anche i governatori delle regioni russe che confinano con l’Ucraina: le azioni chirurgiche degli ucraini contro bersagli strategici in Russia sono in aumento e ieri, Mykhailo Podolyak, uno dei consiglieri del presidente Volodymyr Zelensky, dopo aver ricevuto il benestare del segretario di stato americano, Antony Blinken, ha promesso: “L’Ucraina si difenderà in ogni modo, compresi  attacchi  alle basi degli assassini russi”. Nelle sue dichiarazioni, l’Ucraina non ammette  gli sconfinamenti, dice che sono una conseguenza naturale. Putin vuole continuare la sua guerra nonostante tutto  e i suoi piani cambiano di continuo  e non sempre in maniera razionale:  secondo il Pentagono alcune truppe russe hanno lasciato  la città di Mariupol “nonostante non l’abbiano ancora conquistata” e marciano verso Zaporizhzhia.  

 

Uno degli ultimi stravolgimenti riguarda proprio le repubbliche di Donetsk e Luhansk. Il presidente russo aveva riconosciuto la loro indipendenza pochi giorni prima di iniziare la guerra, ma l’idea, dichiarata fino a poco tempo fa, era che le due sedicenti repubbliche sarebbero rimaste dentro all’Ucraina: sarebbero state due cavalli di Troia del Cremlino per influenzare  la politica di Kyiv. I piani però sono cambiati. Secondo il sito Meduza, il Cremlino vorrebbe indire un referendum nelle due sedicenti repubbliche per sancirne l’annessione alla Russia. Il referendum sarebbe previsto per metà maggio e negli stessi giorni ne verrà organizzato un altro a Kherson, dove ieri è stato annunciato che entrerà in circolazione il rublo russo al posto della grivnia ucraina. Le votazioni in realtà erano attese per questi giorni di fine aprile, ma sono state rimandate per i fallimenti dell’esercito russo. Questo lascia pensare che potrebbero essere rinviate ancora e,  cosa ancor più rilevante, alcuni funzionari di Putin non pensano che la Russia dovrebbe farlo: non conviene, sono regioni economicamente depresse. 

 

Poco contano i borbottii al Cremlino, che provengono soprattutto da chi si occupa dell’economia russa, la decisione del referendum sembra arrivare dal presidente e c’è un dettaglio che aiuta a capirlo. Dopo anni trascorsi nelle due repubbliche, Dmitri Kozak, vicecapo di stato maggiore, non sarà più l’uomo di Putin nel Donbas. Al suo posto arriverà Sergei Kirienko, finora funzionario di spicco della politica interna e il fatto che sarà lui  a gestire i rapporti con le due repubbliche indica che il Cremlino  le considera ormai materia domestica  più che estera. Nella zona il Cremlino è alla ricerca di “ufficiali politici” che preparino questi referendum, sono strateghi, politruk, un termine molto sovietico. Il loro compito sarà anche quello di agire nelle “amministrazioni civili-militari”, un modo per chiamare le città ucraine occupate dall’esercito russo. Dovranno mantenere il potere nei territori occupati, probabilmente avranno il compito di sedare le rivolte dei cittadini ucraini che, anche nelle zone russofone come Kherson, stanno manifestando contro gli occupanti con la bandiera ucraina in mano. Per il Cremlino è complicato avanzare con l’esercito ed è  anche complicato rimanere nei territori con la sua politica. Tanto più che questi “ufficiali politici”, questi politruk, non si trovano. Il motivo è molto semplice e lascia scoperto un altro problema del Cremlino, quello economico: la paga offerta a questi strateghi è ritenuta troppo bassa. E per opporsi alla determinata resistenza ucraina non è abbastanza. Chi è al fronte lo sa, chi è a Mosca finge di non accorgersene. 

 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.