(foto di Ansa)

Un fisico nel governo Draghi

Il ministro del gas: ritratto di Roberto Cingolani

Marianna Rizzini

Dalle nanotecnologie che hanno affascinato Grillo ai discorsi sul futuro che piacevano ai renziani fino alla tensione con Franceschini sui progetti Pnrr

E’ il ministro del gas, Roberto Cingolani. Colui che ha promesso di eliminare la dipendenza dalla Russia nell’arco di 24-36 mesi e si è messo all’opera per la diversificazione delle fonti, ma senza grancassa. Sulla scena si vede infatti soprattutto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio: un giorno in Algeria, un giorno in Angola, un giorno in Mozambico. E però ad Algeri c’era anche lui, Cingolani, e non soltanto c’era ma gestiva in prima linea, da braccio destro di Draghi e da studioso che mai avrebbe pensato di avere un futuro da ministro, essendo già passato attraverso la metamorfosi da professore universitario a dirigente per la transizione in Leonardo.

 

Ma una volta diventato ministro Cingolani si è buttato sul compito con approccio anglosassone (spiegano dal Pd: “E’ un problem-solver che non la manda a dire”). Se proprio avesse dovuto fare altro, Cingolani, davanti a una sliding door, avrebbe scelto la vita del vignettista, ché l’uomo che guida il Ministero della Transizione ecologica ha un talento per il disegno umoristico (“formidabile caricaturista”, dice chi lo conosce e ha visto l’ex professore, nei momenti più impensati, scarabocchiare in un angolo degli appunti), e come tutti i vignettisti è un osservatore attento della realtà. “Chissà se avrà fatto caricature dei colleghi”, scherza un frequentatore di Palazzo Chigi, dove pure un collega tra tutti, nel governo Draghi, si è trovato a dover fronteggiare, per così dire, l’assertività di Cingolani, e il collega risponde al nome di Dario Franceschini, ministro della Cultura che con Cingolani si è trovato a scontrarsi dentro e fuori dal Cdm, con tanto di Tar in mezzo, nei giorni in cui si discuteva di vincoli paesaggistici e di Pnrr, con il ministro della Transizione che diceva di non aver bisogno di nuove semplificazioni, e che anzi sarebbe stato meglio applicare la semplificazione già esistente per sbloccare i procedimenti incagliati, e con Franceschini nel ruolo del paladino anche suo malgrado delle Soprintendenze (“d’altronde un ministro della Cultura non può mettersele contro”, dicono al Mibact).

 

E però un ministro della Transizione Ecologica, in un governo nato anche per avviare i progetti da finanziare con i fondi europei, non può, per dirla con Cingolani in una delle infinite riunioni della contesa, lasciarsi frenare da “prassi consolidate incompatibili con la logica del Recovery plan”. E insomma a un certo punto aveva cercato di fare da paciere tra i due il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, altro candidato probabile alle vignette di Cingolani (anche con Garofoli, infatti, il dialogo è più teso che rilassato). Fatto sta che tra maggio e ottobre ci sono stati — causa querelle Franceschini-Cingolani, con il premier Mario Draghi investito di informale richiesta di esercitare i poteri sostitutivi — non soltanto vari sbuffi di insofferenza presso il Pd e presso i Cinque Stelle (già di loro rimasti scornati: pensavano di aver presentato un ministro di area, nel senso dell’ecologia, ma si sono svegliati con un Cingolani per nulla ideologico sul tema).

 

Tra maggio e ottobre persino la moglie del ministro, fisica di origine greca con un passato da atleta, si è trovata, racconta un amico, a rimpiangere i bei giorni in cui suo marito, padre di tre figli, era impegnato in un lavoro che in famiglia si pensava fosse già l’apice della carriera, quello di alto dirigente in una grande azienda. E invece: invece il terremoto manifestatosi con il “sì” detto a Mario Draghi presenta ancora scosse, attutite in parte dall’atteggiamento granitico del ministro, ex boxeur con “phisique du rôle”, dicono scherzando al Mite, alludendo alla muscolatura compatta che contrasta con l’abbigliamento informale da professore americano in trasferta: cravatta difficile da scorgersi anche nelle occasioni importanti, scarpe comode, occhiali tondi portati fin da quando Cingolani insegnava a Lecce, e gli studenti di fisica lo trovavano non soltanto “più hippie di loro”, ma, per una strana legge di contrasti, “anche incredibilmente simile a un ingegnere”.

 

Legge dei contrasti riscontrabile anche al suo arrivo al Mite, quando, dice un conoscitore di questioni energetiche, c’è stato una sorta di “salto quantico” rispetto al passato, quando ancora il ministero si chiamava Ministero dell’Ambiente e a dirigerlo c’era Sergio Costa, noto anche per la battaglia contro la ricollocazione delle specie minacciate (“si tratta di orsi bruni e debbono vivere sui boschi delle Alpi e non in Abruzzo, dove c’è già l’orso marsicano che non può essere geneticamente contaminato”, diceva il ministro). E vai a pensare che un anno dopo ci si sarebbe trovati a discutere non soltanto di Pnrr, trivelle e veti locali, ma anche dei massimi sistemi, solo in senso contrario a quello atteso dai Cinque stelle (che pensavano di aver fatto entrare nella compagine governativa uno dei loro).

 

Non più tardi di settembre, infatti, Cingolani se n’era uscito con la frase che aveva fatto sobbalzare grillini e verdi storici: “Il mondo è pieno di ambientalisti radical chic ed è pieno di ambientalisti oltranzisti, ideologici”, diceva infatti il ministro, peraltro a un incontro organizzato da Italia Viva: “Loro sono peggio della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati se non facciamo qualcosa di sensato. Sono parte del problema”, continuava lapidario. E oggi un ambientalista storico come Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente ed esponente del Pd, nota che comunque Cingolani si è trovato ad ereditare una struttura ministeriale complessa, “che non era certo una falange macedone”, dice interpellato in proposito, e dunque sicuramente “il compito non è facile”, ma “si potrebbe forse comunicare in modo più forte il gusto della sfida da affrontare, perché l’Europa sta investendo sulla transizione non soltanto per dare ragione alle giovani generazioni, ma perché questa è una grande opportunità per il nostro paese. Adesso il vero banco di prova di Cingolani sarà la questione delle semplificazione sulle rinnovabili”. 

 

Sia come sia, sono mesi che aleggia l’interrogativo che già nel corso dell’estate 2021 aveva tormentato firme vicine ai Cinque stelle sul Fatto quotidiano, a proposito delle frasi del ministro sulla potenzialità dei mini reattori nucleari: possibile che questo sia l’uomo scelto da Beppe Grillo. si domandavano? Per dirla con la battuta di un alto dirigente di un ministero contiguo, “ma i Cinque stelle si erano resi conto che non si può passare da Grilli a Grillo e viceversa?”, con riferimento al ruolo che Vittorio Grilli, già direttore generale del Tesoro, aveva avuto, con Giulio Tremonti co-sponsor, nella nomina di Cingolani a direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, centro di ricerca situato sulla collina di Morego, a Genova, nel lontano 2005, e al fatto che la vicinanza geografica con il ligure ex comico Beppe si era mutata in vicinanza intellettuale dell’ex comico per gli studi e le materie in cui era esperto Cingolani: nanotecnologie e robotica.

 

“Visionario”, era la definizione dei Cinque stelle quando qualcuno chiedeva informazioni sul futuro ministro da loro caldeggiato. “Visionario”, era però anche la definizione che di Cingolani avevano dato i renziani in tempi non sospetti, nel 2019, quando il fisico si era presentato alla Leopolda su invito di Matteo Renzi, in video-collegamento da New York: “Vorrei parlarvi di futuro”, diceva, “la cosa che mi sta più a cuore” e confidava il suo sogno di “un’Italia che non muoia di imprecisione e sia in grado di costruire un ponte bellissimo, mettendo insieme le migliori aziende, noi siamo in grado di fare delle cose grandi perché è giusto farle, non perché c’è sempre una contingenza. E’ un problema di cultura, non ci sono scorciatoie alla fatica. Ogni nostra azione è sempre una conseguenza. Noi non siamo padroni del nostro futuro, ma lo determiniamo per quelli che verranno dopo di noi. Ricordiamoci che oltre ai problemi del nostro ambiente, il cambiamento climatico, il ciclo dell’acqua, il ciclo dei rifiuti, abbiamo anche un’altra frontiera che è lo spazio…siamo una razza nomade”.

 

E nel pubblico, tra i convenuti cronisti, ricorda uno degli astanti, si era levato il grido “questo parla meglio di Steve Jobs”. E però il discorso poteva piacere anche al Grillo più casaleggiano, quello che negli spettacoli, prima, e nei comizi, poi, era affascinato dalle nuove frontiere scientifiche e dagli scenari alla Asimov, con cadute post-cabaret sui robot muratori e con crisi di identità uomo-macchina: “Noi arriveremo a non capire più chi siamo, dove siamo, dove stiamo andando”, diceva l’ex comico in un video registrato con una maschera di acciaio in faccia. Ed è chiaro che con Cingolani non c’entrava nulla, Grillo, ma molti grillini ci avevano sperato, in quel tecnico che piaceva al fondatore m5s.

 

Figurarsi quando, qualche mese fa, l’ex ministro dell’Ambiente e verde storico molto ascoltato dai grillini Alfonso Pecoraro Scanio si era scagliato contro Cingolani su Facebook in un post intitolato: “La transizione ecologica non si fa con trivelle e nucleare. Le lobby nucleari nella Ue sono contro il nostro interesse nazionale. L’M5s intervenga subito!”. Ripudio vero e proprio non ci fu, diffidenza sì. E c’era chi tra i Cinque Stelle non si capacitava che Cingolani fosse lo stesso Cingolani che aveva scritto il libro-bibbia degli appassionati di nanotecnologie, “Il mondo è piccolo come un’arancia” (ed.Il Saggiatore), con prefazione di Piero Angela. Un volume in cui si viaggia alla velocità del robot che ricorda i volti e dei dispositivi che trasformano in impulsi elettrici l’energia meccanica prodotta da un corpo che corre, fino all’elettronica flessibile e ai materiali intelligenti derivati interamente da scarti vegetali. 

 

Eppure Cingolani è lo stesso Cingolani dei tempi pre-Draghi, lo studioso ciclista e motociclista, figlio d’arte – suo padre Aldo Cingolani era fisico all’Università di Bari – e globetrotter, con esperienza accademica in Germania, a Pisa e a Tokyo e passione letteraria per gli abissi di ghiaccio thriller dello scrittore norvegese Jo Nesbo. E certo in consiglio dei ministri, davanti a Dario Franceschini, non poteva comportarsi come il poliziotto protagonista dei romanzi di Nesbo Harry Hole, un burbero dai metodi spicci. “Però ci è andato vicino”, scherza un franceschiniano che tradisce per “l’avversario interno” la fascinazione che si ha per un marziano. Perché Cingolani è un tecnico e non un politico, ma un tecnico con passione civile, intercettata, raccontano nel Pd, “anche da Enrico Letta ai tempi di Vedrò”. Piaceva anche ai cattolici, l’attuale ministro, invitato anche al Meeting di Rimini nel 2015. E chi l’ha ascoltato allora, ripensandoci lo trova profetico.

 

Mettiamola così: mentre Legambiente, oggi, critica la proposta di Cingolani a proposito di una nave per la rigassificazione in Puglia (“purtroppo il governo non sembra aver compreso la lezione che viene dalla speculazione sui combustibili fossili. Il problema non è come sostituire il gas russo, ma finalmente investire realmente sulle fonti rinnovabili”, dicono gli ecologisti), il ministro, parlando del futuro, nel 2015, diceva di voler partire da una metafora sportiva: “A calcio si gioca sempre allo stesso modo: le regole sono quelle, l’obiettivo è quello, portare la palla in rete”, diceva, “quindi contano le persone, la preparazione atletica, il modulo di gioco, l’estro dei campioni. La ricerca è come una competizione sportiva, dove conta la cultura, la genialità, l’intuizione, la capacità di studiare intensamente… e come nel calcio gli investimenti infrastrutturali contano”. Investimenti che ora, via Pnrr, si possono fare, e Cingolani non a caso lo ripete: o me o loro, con buona pace dei frenatori. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.