La grande bellezza
La Roma di Gualtieri è senza un'idea. Rilancia la Festa del Cinema con ricotta e cicoria
L'unica cosa ordinata in città è la monnezza, che sta ordinatamente sparsa lungo tutti i marciapiedi e fuori dai cassonetti caracollanti
Dai grandi di Hollywood portati da Antonio Monda al "cinema a Tor Bella Monaca". Oggi il sindaco di Roma pronto a nominare alla guida della Festa la vice di Rai Cinema. Vince la Roma alla "Bombolo"
Non sarà Nanni Moretti, non sarà un grande regista, né un attore simbolo o un critico di chiara fama. La direzione artistica della Festa del Cinema di Roma passerà probabilmente già oggi a una funzionaria di Rai Cinema, e il presidente della Festa, Gian Luca Farinelli, spiegherà il senso della brillante intuizione suggeritagli dallo staff del sindaco Roberto Gualtieri. Bisogna infatti voltare pagina, pensano in Campidoglio. Passare a una nuova idea. Finalmente moderna. All’altezza di Roma. Una capitale europea. Dunque basta con le stelle del cinema hollywoodiano, finiamola con Martin Scorsese e Meryl Streep, con Quentin Tarantino e Cate Blanchett. Qui ci vuole una filosofia “inclusiva”, estesa, partecipativa, dal basso. “Va portato il cinema a Tor Bella Monaca”, dicono. Ecco. Finalmente.
D’altra parte, come dare torto al sindaco Gualtieri, al suo capo di Gabinetto Albino Ruberti detto “Rocky, come non concordare infine con Goffredo Bettini e la banda allegra del Pd (“ma che ce frega / ma che ce ’mporta”) che tanto si sono battuti per rilanciare una Festa del Cinema che in effetti languiva, al punto da aver aperto l’ultima edizione ospitando Jessica Chastain, l’attrice che domenica notte ha vinto il premio Oscar. Perché mai organizzare una succursale degli Oscar a Roma, perché tentare di chiamare alla direzione artistica Nanni Moretti o Paolo Sorrentino, perché riconfermare il direttore uscente Antonio Monda, l’amico di Gay Telese e Don DeLillo, perché cercare i fuoriclasse della Roma di Veltroni, quando invece puoi avere la sagra della cicoria e della ricotta? A chilometro zero. Con gli amici di Bombolo che neanche devono prendere l’aereo da Hollywood (quindi si risparmia pure) visto che stanno già di casa a Coccia di Morto. Roba da matti. E’ ovvio che le cose vanno fatte in un altro modo, proprio come ha deciso il bravo sindaco di Roma, ovvero perseguendo sul serio la strada del talento, della fantasia, della competenza, quella vera, in pratica confermando, com’è opportunamente avvenuto, un contratto di tre anni alla sorella di Bettini nostro, e chiamando alla direzione artistica una figura questa sì riconosciuta: la vicedirettrice di Rai Cinema, niente meno. Mica cotiche.
D’altra parte, va ricordato, “er monno è de chi c’ha li denti”, diceva l’accattone di Pasolini, personaggio (e ambiente) cui evidentemente si ispira in senso integrale, per non dire filologico, l’amministrazione comunale capitolina. Un mondo che – basta guardarli in faccia – mai affiderebbe le istituzioni culturali di Roma ai soliti clientes e al pascolo della retorica che sempre occulta (malamente) le schifezze politiche. Non scherziamo. Mai infatti questi uomini della sinistra romana hanno dato l’idea di essere una ghenga familistica affamata di clientele e piuttosto incline alla filosofia del marchese del Grillo (“io so’ io, e voi non siete un c...”). Mai. In nessun caso. Assolutamente no. Nemmeno dopo gli ultimi dieci anni di astinenza dal potere in città, che avrebbero reso chiunque un avvoltoio delle nomine pubbliche. La ricerca delle migliori professionalità è tutto. In ogni campo. E per il Pd a Roma è un aspetto fondamentale. Imprescindibile. Gualtieri lo sa benissimo, e infatti per questo si è scelto come capo di gabinetto il suddetto Ruberti – quello che vene fermato dalla polizia quando in pieno lockdown mangiava pesce crudo con amici e vinello in terrazza: “Ma lo sapete chi sono io?”. Lo stile prima di tutto.
E infatti, con questo suo primo grande e ambizioso atto pubblico, con questa scelta che finalmente mette la Festa del Cinema al suo posto nel mondo, Roberto Gualtieri si è fatto in un lampo perdonare quella vaga sensazione di assenza e di grigia inadeguatezza propagandata in questi mesi dai soliti maldicenti. Gualtieri ha spazzato via tutte le argomentazioni capziose di quelli che in assoluta malafede a Roma lamentano l’epidemia delle scale mobili sempre in panne, delle stazioni della metro chiuse, dei cinghiali allattati per strada, delle buche in continuità con la Raggi, quelli che criticano le nomine dei dirigenti presi fuori dai concorsi come faceva Alemanno, quegli sciocchi secondo i quali a Roma, nel disordine generale, l’unica cosa ordinata è la monnezza perché sta ordinatamente sparsa lungo tutti i marciapiedi e fuori dai cassonetti caracollanti. Tutto sparito. Smentito. Finito. Il sindaco non è il prodotto di una politica senza slancio, non è venuto fuori per accordicchi al ribasso, non è il prescelto di una elezione comunale depotenziata politicamente e umanamente. Insomma non è un tapino nelle mani della solita vecchia banda del Pd romano di sempre. No. E le sue scelte culturali adesso lo confermano. Altroché.
L'editoriale del direttore