Salvini pensa al proporzionale per isolare la Meloni. E intanto studia le mosse di Draghi per il 2023

Valerio Valentini

L'asse col Cav. per ora tiene: "Senza di noi, Giorgia dove va? Noi invece possiamo governare anche senza di lei". Calderoli studia i dettagli. Intanto Giorgetti avverte: "Questo mese servirà a capire se ha senso restare nell'esecutivo o uscirne. Ma occhio che il premier sulla legge elettorale potrebbe metterci alle strette". Renzi prende tempo, e mette in allarme i centristi

E’ una curiosa inversione dei ruoli, il cambiare le parti assegnate a ciascuno dei due dalla sceneggiatura della commedia. “E’ solo che bisogna lasciar depositare la polvere, dopo la zuffa quirinalesca, prima di parlare di legge elettorale”, prova a dispensare saggezza Enrico Letta. Sta di fatto che loro, i due omonimi, il Matteo milanese e quello fiorentino, per un po’ provano a recitare l’uno il copione dell’altro. Salvini al proporzionale inizia a pensarci davvero. E ci ragiona in modo così ricorrente, negli ultimi giorni, che ieri è dovuto intervenire per richiamare i suoi all’ordine, dopo che un soldato fedele come Igor Iezzi aveva squarciato il cielo di carta nella propaganda del Carroccio: “E certo che ne stiamo parlando”, ha ammesso il deputato. Renzi, invece, prova ora a opporsi alla corrente, proprio lui che per mesi la svolta proporzionale l’aveva invocata.

Ma l’entropia scomposta intorno al Colle ha rimesso tutto in moto. Salvini prova a mostrarsi risoluto, giura che la rinnovata fede governista non è passeggera, stavolta, e usa proprio Mario Draghi come scudo per difendersi dall’assalto di Giorgia Meloni. “Se lei ha deciso di speculare contro di noi, non ci resta che puntare sull’arma che abbiamo: dimostrare che sappiamo stare nella stanza dei bottoni, che facendo parte dell’esecutivo possiamo indirizzare gli eventi, non solo gridare alla luna”: è di questo che il segretario della Lega discute con Licia Ronzulli e gli altri ambasciatori di Silvio Berlusconi. “Noi sappiamo governare anche senza di lei; Giorgia, invece, senza di noi cosa fa?”, hanno convenuto Salvini e il Cav., lunedì sera, ad Arcore. Si capirà, certo, quanto durerà questo zelo filodraghiano del capo del Carroccio, e quanto invece l’ansia di non mostrarsi schiacciato sul resto della coalizione di governo lo spingerà, sulle misure pandemiche come su quelle fiscali, a differenziarsi. “Questo è il mese dello stress test: se teniamo, si arriva in fondo, sennò meglio prenderne atto subito che non si può andare avanti e agire di conseguenza”, ha ripetuto due giorni fa Giancarlo Giorgetti a margine del Consiglio federale del partito, sapendo che s’approssimava l’ora del primo strappo in Cdm, quello sull’esenzione della dad per gli studenti vaccinati. Del resto, il ministro dello Sviluppo teme, insieme a Salvini, che Draghi possa essere tentato dall’aprire un tavolo di riforme istituzionali, e in quello inserire anche la legge elettorale, per poi magari metterci la fiducia. Paranoie?  Forse, ma in ogni caso meglio acconciarsi preventivamente: “In maggioranza dovremmo restarci, se ci resteremo, non per impedire a prescindere che si metta mano alla legge elettorale, ma per evitare che lo si faccia in un modo che a noi non piace”, ragionavano martedì a Via Bellerio.

In ogni caso, nella strategia della rappresaglia, il proporzionale torna comodo alla retorica di Salvini, fosse anche solo come strumento di ricatto da agitare contro la Meloni. Specie se davvero la nuova legge elettorale dovesse prendere i connotati con cui Roberto Calderoli, gran maestro in materia, vorrebbe darle: e cioè un proporzionale spurio, che cancelli i collegi del Rosatellum (esimendo la Lega dall’ingaggiare una guerra logorante con FdI per la spartizione delle caselle più ambite) e consegni un premio di maggioranza alla coalizione vincente. 

Il tutto, dunque, in nome di un accordo tra Lega e FI che pare al momento saldo, almeno agli occhi dei consiglieri di Salvini: e cioè con la prospettiva di un ancoraggio azzurro al campo del centrodestra, che dunque allontani lo spettro di “Ursula” e del salto della barricata da parte del Cav., garantendo al Carroccio di poter poi porre alla Meloni un ultimatum: o stai con noi alle nostre condizioni, oppure tenta pure la traversata del deserto in solitudine.

E in effetti non è così lontana, questa prospettiva, da quella che anche Renzi ha delineato sbrigativamente ai suoi amici centristi nei giorni scorsi. Quelli volevano spingere sul proporzionale, mettersi finalmente in scia all’umore diventato prevalente tra i partiti: “Liquidiamo queste mille sigle che abbiamo, e facciamo un’unica cosa grande in nome del proporzionale”, gli ha detto Gaetano Quagliariello. Il leader di Iv ha preso tempo: e non per lo scrupolo di dover accantonare la sua creatura. “Ma perché le coalizioni che al momento sembrano saltate per aria potrebbero in realtà trovare un nuovo assetto ancor più polarizzato, col Pd che asseconda le bizze grilline per non restare solo e con FI che per non sparire insegue Salvini a destra”. Insomma, per Renzi potrebbe crearsi “uno spazio vero al centro, e a quel punto la quota proporzionale del Rosatellum ci garantisce lo stesso peso e rappresentanza”. Al che a qualcuna delle vecchie volpi centriste è sorto il dubbio che l’istrionico senatore di Scandicci puntasse in realtà a siglare un accordo con Letta: tenere il maggioritario e garantire a una manciata di fedelissimi renziani un posto riservato nei collegi che contano. “Ma la verità è che Matteo sa che il Parlamento, dopo le contorsioni del Quirinale, non può essere sollecitato ancora con uno dei temi che notoriamente eccitano di più gli animi di deputati e senatori”, spiega Marco Di Maio, che è il cultore della materia in Iv.

La sostanza è che Renzi, insieme ai referenti di Coraggio Italia, si vedrà nei prossimi giorni per intavolare davvero la discussione: e lì si capirà qualcosa di più. Lo si farà, però, tenendo conto che a primavera, e cioè quando una eventuale discussione sulla legge elettorale potrebbe essere matura, ci sarà da votare alle amministrative in mezza Italia. Per cui a quel punto una prima decisione sulla volontà di tenere in piedi le alleanze, o di stravolgerle, dovrà già essere presa.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.