"Ma quale invasione?". "Non siamo una colonia americana". Così riemerge il filoputinismo di Lega e M5s

Valerio Valentini

La sottosegretaria leghista alla Difesa, Pucciarelli, è chiara: "Le sanzioni sarebbero una mazzata. Gli interessi della Nato, di Biden e dell'Ue non sono gli stessi dell'Italia". Tra i senatori grillini cresce la mozione pro Mosca: "E' comprensibile la sindrome di accerchiamento russa". E così la crisi ucraina crea scompiglio nella maggioranza. Il Carroccio isolato a Bruxelles. Conte in bilico tra Di Maio e Grillo

Il punto, dice lei, “non è fare il tifo”. Stefania Pucciarelli ne è convinta: “Bisogna essere pragmatici, non idealisti”. E dunque? “E dunque – spiega la sottosegretaria leghista  alla Difesa – prendere atto che noi dipendiamo dal gas russo, e dunque non è detto che gli interessi dell’Europa o della Nato o degli Usa siano quelli del nostro sistema paese. Le sanzioni sarebbero una mazzata, per le nostre imprese. Per cui invito tutti, a partire da Enrico Letta, a privilegiare toni distensivi”. 

Retaggi mai smaltiti, riflessi pavloviani del grilloleghismo che fu, di quando Putin era un modello e la Nato la minaccia. E non è detto che sia sempre il passato, la dimensione di questa fascinazione. Perché Vito Petrocelli, presidente della commissione Esteri del Senato, uno di quelli a cui Giuseppe Conte chiede suggerimenti sulle questioni internazionali, rivendica di “essere ancora orgogliosamente fermo nelle mie posizioni”. E dunque, dopo aver invitato per gironi i colleghi del M5s a diffidare “di questa immonda propaganda americana per la quale l’attacco della Russia è sempre imminente”, non demorde neppure ora che è smentito dai fatti: “Le ragioni non stanno affatto tutte dalla parte dell’Occidente e di Kiev”, insiste. 

Imbarazzi? Pentimenti? Non pare. Semmai, va registrato che Matteo Salvini fa per una volta esercizio di reticenza. Ed è significativo che nelle ore in cui il mondo s’interroga sui destini dell’Ucraina, sui profili social del Capitano, di solito così attenti a cogliere l’attimo, a cavalcare l’hashtag del momento, si parli di cinghiali a Roma, di eccellenze enogastronomiche italiane, di stranieri che picchiano suore. “La verità è che Putin, avendo scelto la via delle armi, ha disarticolato l’armamentario retorico di chi, in Italia e in Europa, si diceva suo amico”, commenta, preoccupato, Giorgio Mulè, sottosegretario alla Difesa di Forza Italia. Proprio mentre la sua omologa leghista, la Pucciarelli, ribalta l’argomento: “Semmai i buoni rapporti di Salvini con la Russia possono essere un elemento che agevola un dialogo positivo tra Roma e Mosca”. Salvini in verità ci crede meno, pare, se è vero che si limita a scongiurare l’applicazione di sanzioni. E del resto il suo vice, quel Lorenzo Fontana che è anche responsabile Esteri del partito, predica cautela nel cortile di Montecitorio: “Putin ha oggettivamente ecceduto, ma non parliamo di invasione, perché i russi nel Donbass già c’erano”.

E però proprio Fontana, che è da anni lo sherpa di Salvini a Bruxelles, sa bene che il precipitare degli eventi sul fronte orientale scombussola i piani della Lega in Europa. “Coi tedeschi di AfD ci sono già da tempo molte distanze”, sibila, sapendo che è lì che si va a parare, e dimostrando come l’apostasia di Salvini – quello che fino a due anni fa si sentiva “più a casa qui a Mosca che non in tante capitali europee”, quello che “darei volentieri Mattarella in cambio di mezzo Putin” – sia arrivata troppo tardi. “Perché infatti ora la Lega, seppur controvoglia, resta confinata nel gruppo di Identità e democrazia insieme ai maggiori sostenitori del filoputinismo”, osserva ancora La Russa. Di certo c’è che, utilizzando una bussola sensibile al mutare degli umori di stagione e non tarata su alleanze stabili, la Lega finisce col disorientare i suoi stessi membri. E così, mentre gli europarlamentari del Carroccio organizzano la trasferta oltre Atlantico per non lasciare che anche quest’anno sia Giorgia Meloni a rubare loro il biglietto per il congresso dei conservatori americani, alla Camera c’è chi, come Luca Paolini, suona la campana anti-Usa: “La verità – tuona il leghista – è che siamo una colonia americana. Ora Biden imporrà sanzioni e a pagarne le conseguenze saremo noi”. 

Argomenti che risuonano anche in casa dei grillini. Perché forse è vero quel che dice Andrea Romano di fronte alle farneticazioni filorusse di Dibba, e cioè che “Di Battista ha il merito di ricordarci dove sarebbe il M5s senza il ruolo educativo del Pd”, ma è pur vero che non del tutto è stata smaltita, nel mondo grillino, la fede putiniana. Del resto Conte, quello che dice di “stimare molto” Di Battista, deve barcamenarsi tra un Luigi Di Maio rigorosissimo osservante dell’ortodossia atlantica, e un Beppe Grillo che continua sul suo SacroBlog a sostenere le tesi di Mosca. Le stesse che Gianluca Ferrara, uno che “sui crimini nascosti da Truman a Trump” ha scritto pure un libro, e lo ha intitolato “L’impero del male”, difende senza esitazione: “Questa narrazione a senso unico”, dice il vice capogruppo del M5s al Senato, “ci fa dimenticare che nel 1991 a Mosca era stata garanzia che la Nato non avrebbe accettato tra i suoi membri i paesi dell’ex Urss. E invece ora punta addirittura all’Ucraina? Allora è più che comprensibile la sindrome di accerchiamento che soffrono in Russia”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.