Il retroscena

Pnrr, correnti e terzo mandato: l'ultima guerra del Pd passa dall'Anci

L'associazione nazionale dei comuni italiani è l'ultimo terreno di scontro fra i dem. Gli amministratori delle grandi città (figli del nuovo corso lettiano) in un momento di rabbia hanno di volere uscire dall'Anci

Simone Canettieri

I sindaci di Roma, Milano, Torino e Napoli non si sentono più tutelati da De Caro, il presidente dell'Associazione nazionale dei comuni italiani. A partire dalla ripartizione dei fondi europei. Così hanno scritto a Draghi

Il Pd ha un problema chiamato Anci. La nouvelle vague dei sindaci di Roma, Torino,  Napoli, Bologna (e Milano, che fa città-stato a parte) ce l’ha con il presidente Antonio Decaro. Il primo cittadino di Bari è arrivato al secondo mandato  alla guida dell’Associazione dei comuni ed è accusato di fare sponda con i colleghi di Bergamo (Giorgio Gori) e Firenze (Dario Nardella). Nei loro frequenti incontri su Zoom Roberto Gualtieri, Matteo Lepore, Stefano Lo Russo, Gaetano Manfredi e Beppe Sala si dicono di “non essere abbastanza tutelati”. Addirittura una settimana fa hanno vagheggiato anche l’idea di uscire dall’Anci. “Come fece la Fiat da Confindustria”. All’origine di tutto c’è la politica, ma soprattutto la gestione dei fondi del Pnrr. Mercoledì scorso è avvenuto un fatto. 


Il 9 febbraio Antonio Decaro, a nome dell’Anci,  è stato audito dalla commissione Bilancio della Camera. All’ordine del giorno: “Lo stato d’attuazione del Pnrr”. E qui bisogna fare una premessa e tornare al nocciolo del discorso. Da settimane i sindaci di Roma, Milano, Torino e Napoli si consultano, studiano strategie e alla fine si lamentano. I bandi per accedere ai fondi europei non tengono conto della vastità di popolazione e superficie rappresentate dai loro comuni. Nella ripartizione delle risorse messe in campo per rispondere alla pandemia capita dunque che ci siano fondi per opere pubbliche (ha fatto clamore l’esempio delle scuole) uguali   per Torino e Benevento o per Viterbo e Milano o ancora per Roma e La Spezia. In Campidoglio, ma anche a Palazzo Marino, portano sempre questo  argomento esplicativo: il sostegno “alle persone vulnerabili” (500 milioni) arriverà nelle nostre casse per una quota pari al 10 per cento, nonostante i nostri comuni raccolgano poco meno della metà della popolazione.      

 

Un problema che a Palazzo Chigi conoscono, e bene. A fine mese infatti sul tavolo di Mario Draghi è arrivata la missiva firmata da Gualtieri, Sala, Lo Russo e Manfredi (intervistato oggi in inserto II-ndr). I quattro  sindaci del Pd lamentano un fatto semplice: il nodo dei parametri utilizzati per distribuire i fondi penalizza le grandi città. Il Recovery stanzia per le amministrazioni locali 39 miliardi di euro. Ma c’è appunto questo problema, che il governo punta a risolvere con una armonizzazione che tenga conto  di popolazione e superficie. 

 


E qui però si ritorna all’audizione di mercoledì scorso. Decaro in commissione Bilancio ha letto una relazione di sette  pagine sullo stato  di attuazione delle misure fino al 2021. “Con l’esortazione a favorire anche per gli investimenti ancora da attuare un rapporto diretto tra amministrazioni Centrali e Comuni”.  E’ stata l’occasione per ringraziare e pungolare. Peccato che – hanno subito rimarcato i diretti interessati – l’Anci non abbia sposato le richieste e le spine delle grandi città. Appena terminata l’audizione i sindaci dem hanno avuto una riunione su Zoom “molto franca”, si usa così per dire insomma tesissima, con Decaro. Un modo per ribadirgli se non una sfiducia, di sicuro una certa irritazione.

 

Sala, per esempio, sul Pnrr si trova in un doppio imbuto. Da una parte sottolinea con fastidio l’eccesso di fondi al sud, dall’altra dice che la ripartizione delle risorse non è equa. Per Gualtieri inoltre questa partita è un tornante della sua recente storia politica: da ex ministro dell’Economia che si fregia di aver portato in Italia  il Recovery adesso, dall’altra parte della barricata, si trova a contestarne le modalità di distribuzione. E poi c’è Manfredi alle prese con la carenza cronica di uffici tecnici in grado di processare le gare (appena eletto sindaco di Napoli, dopo nemmeno due settimane, ha detto a Repubblica di essere pronto a dimettersi se non gli fossero arrivate risorse per il debito e tecnici per il Pnrr). Chiude il quartetto del malcontento dem Lo Russo, anche lui fresco di elezione e figlio del nuovo corso del Pd.

 

L’Anci per il  centrosinistra, e dunque per i dem, è da sempre una sorta di grande officina piena di attrezzi. Gestire da sempre la maggioranza dei comuni italiani ha permesso a intere classi dirigenti di stringere alleanze, sperimentare modelli, pressare sulla politica nazionale. Il partito dei sindaci. Adesso la situazione sembra essere abbastanza tesa. Le nuove fasce tricolori mettono nel mirino “Decaro e i suoi amici Gori e Nardella, figli del renzismo che pensano all’istituzione del terzo mandato”. Sullo sfondo il rinnovo dei vertici dell’Anci. Chissà se Letta lo sa o se, sotto sotto, assiste a questo cambio di clima abbastanza divertito.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.