(foto Ansa)

verso la direzione nazionale

Letta riunisce la segreteria del Pd e conferma la sua strategia: galleggiare

Luca Roberto

Il segretario dopo la vittoria di posizione sul Quirinale resta fermo e tra l'alleanza con i Cinque stelle e una svolta centrista preferisce ancora non scegliere. Ma fino a quando potrà durare? 

Nel campo largo con un M5s in tilt o attorno a un gorgo centrista sempre più intricato? Enrico Letta sa benissimo che prima o poi gli chiederanno di scegliere: andiamo di qua o di là? Eppure per adesso in mezzo a un panorama di avversari in rovina, preferisce godersi l’ammollo. Dipendesse da lui, vorrebbe che questi giorni di placida inedia non avessero mai fine. Così vive quella strana distonia per cui da una parte chiede al governo di “fare presto” per affrontare una questione centrale come il caro energia “entro la prossima settimana”. Dall’altra, il solo effetto pratico che riesce a partorire è il posticipo di qualsiasi decisione. Se è vero che l’unico esito cui è giunta la segreteria del Pd chiamata a raccolta questa mattina al Nazareno è stata la convocazione di una direzione nazionale fissata in calendario il 18 febbraio. 

Esiste una manifestazione più plastica del concetto di galleggiamento? L’incontro negli uffici del partito, insomma, è stato puramente interlocutorio. E forse subito dopo un appuntamento che il Pd considera una vittoria di posizione, in molti si auguravano non fosse null’altro che questo. Circa due ore di confronto privato in cui il segretario s’è speso a far passare ai suoi una consegna precisa: e cioè battere, insieme al responsabile economico Antonio Misiani, sul tasto “rischi per la ripresa” derivanti dall’aumento dei prezzi dell’energia. Con il Pd che da “perno della stabilità deve sostenere e pungolare tutte le iniziative del governo che hanno ricadute su questi temi e in particolare su chi è più in difficoltà”. Di fatto sempre oggi, in visita al nuovo presidente della Cna Dario Costantini, Letta ha insistito nel dire che “il tempismo è tutto”, perché “la ripresa c’è ma il contesto internazionale sfavorevole all’Italia, rischia di vanificare gli sforzi fatti e il duro lavoro portato avanti dal governo Draghi”. Per questo se n’è lungamente dibattuto, con tanto di impegni tecnici per “eliminare il blocco della cessione dei crediti per i bonus edilizi”. Ma a differenza di quanto dichiarato dalla vicesegretaria Irene Tinagli, che ha lasciato l’incontro all’ora di pranzo quando questo era ancora in corso di svolgimento, ci si è tenuti occupati anche con altre portate. Chi c’era racconta che uno degli interventi del segretario è stato sulla necessità, da qui alla fine della legislatura, di approvare quelle riforme istituzionali in grado di correggere alcune storture rese ancor più evidenti in questa finestra post quirinalizia. A partire dalla legge elettorale. “Visto che il Rosatellum è la peggiore possibile”, è stato il ragionamento del segretario. Sempre che si riesca a fare alcunché. E qui i dubbi affiorano da più parti. Altro punto oggetto di confronto il rapporto con i Cinque stelle, l’alleato fuori campo, il sodale invisibile. Il cui stato di agitazione perenne viene vissuto con il principio della minima ingerenza. “Anche perché le loro tensioni sono le più evidenti, ma non mi sembra che gli altri partiti a esclusione di Fratelli d’Italia stiano molto meglio”, ci ha tenuto a rimarcare il segretario. Tradendo una discreta incertezza nel cercare di capire cosa diventerà questa fumosa area di centro, che più di qualcuno vorrebbe attrarre nel campo del centrosinistra, privilegiandoli nell’alleanza. Su questo punto, compito del Pd è quello di “rafforzare il proprio profilo identitario e anche l’orizzonte di un campo progressista che non è aritmetica di sigle tra partiti ma visione della società e constituency elettorale”, ha aggiunto ancora Letta.

Nessuna presa di posizione eclatante e nessuna esclusione, quindi. Di certo, nessun cenno è stato rivolto, a quanto riferiscono fonti dem, alle prese di posizione di Stefano Bonaccini e Giorgio Gori. Un tempo espressione del partito dei sindaci che avrebbe dovuto scalare il Pd (rappresentò la più importante spina nel fianco di Nicola Zingaretti). E che oggi si mostra su posizioni sempre più frammentate. Con il presidente dell’Emilia che considera i Cinque stelle “alleati naturali”. E il sindaco di Bergamo che ribadisce di averli “sempre trovati poco affidabili”. Aprendo la porta all’ipotesi che un rinnovato fronte progressista sostenga la prosecuzione di un governo a guida Draghi anche dopo il 2023. Anche delle schermaglie tra i sindaci di Milano e Napoli Beppe Sala e Gaetano Manfredi sui fondi del Pnrr al Nazareno ci si è tenuti a debita distanza. Preoccupazioni per adesso da scacciare. Guadagnando almeno un’altra settimana, fino al 18 febbraio, verso quella direzione dove l’ordine del giorno sarà l’onnicomprensiva agenda 2022. E’ che forse, quando impari a galleggiare, l’incapacità di muoverti vuoi scoprirla il più tardi possibile.

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