(foto Ansa)

nuovo corso

Gori, Bonaccini e la scomparsa del partito dei sindaci Pd

Luca Roberto

Mentre il presidente dell'Emilia-Romagna considera i Cinque stelle "alleati naturali", il primo cittadino di Bergamo dice di averli "sempre considerati poco affidabili". Così il fronte che doveva scalare il Partito democratico si ritrova già diviso

Dovevano prendersi il Pd. Erano il monito del nord, la vittoria del pragmatismo sulla tattica politica e parlamentare. Un sempiterno grattacapo per segretari. Mentre adesso, sul futuro posizionamento della loro forza politica, sembrano avere idee contrapposte. Se n'è avuta più di una prova leggendo nelle ultime ore le dichiarazioni di alcuni degli esponenti di questo partito ombra, quello degli amministratori democratici, un tempo il principale spauracchio di Nicola Zingaretti a largo del Nazareno. Che si sentiva costantemente lavorato ai fianchi a tal punto da decidere di farsi da parte in un giorno di marzo dell'anno scorso. Qualcuno ha scritto che erano stati loro a disseminare tutta una serie di trappole sul selciato, fatte di continui strattoni e tirate di giacca. Da cui il governatore laziale ha deciso di tirarsi fuori al momento più estemporaneo. Per rimescolare le carte e tutto rimettere in discussione.

Così, tornando alla stretta contingenza, il presidente dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini in un'intervista al Foglio dice di considerare il M5s "un alleato naturale". E la butta sulla costruzione di un campo largo che guardi alle forze riformiste pur senza, però, smarrire l'adesione a una cosa rossogialla, perché nonostante stiano attraversando una fase difficiile, "il percorso che hanno compiuto i Cinque stelle in questi due anni non mi è affatto indifferente". Intanto il sindaco di Bergamo Giorgio Gori ricorda di "non aver mai considerato il M5s un alleato affidabile". E a Repubblica chiarisce perché a suo modo si sente di aderire pienamente al nuovo corso di Enrico Letta. "La linea della precedente segreteria considerava assolutamente prioritaria l’alleanza con i 5S. Questa linea è in parte sopravvissuta, ma è evidente che ha il fiato corto. Il Pd non può fare a meno di ricercare convergenze anche con i partiti moderati, come insegna la vicenda del Quirinale". Con una postilla importante, detta con parole che nessuno prima di lui tra i dem aveva avuto la capacità di maneggiare con tale dimestichezza. E cioè che Mario Draghi candidato premier della coalizione di centrosinistra sarebbe "una prospettiva auspicabile" anche per il post elezioni politiche 2023. 

Insomma, idee chiare in quest'area non se ne trovano su qual è il senso da dare a questo finale di legislatura da qui al 2023. E forse in questo marasma di incertezza, s'avanza anche il dubbio che un contraltare forte interno al Partito democratico possa avere senso rispetto a come ce lo aveva solo fino a qualche mese fa. Non deve essere un caso se chi prima picconava pubblicamente l'idea di strutturare un'alleanza con i Cinque stelle adesso lo dice ma contemporaneamente aggiuge "sto con Letta". Forse che l'unico collante di un disgregato partito dei sindaci è dimostrare un'inedita vicinanza al loro segretario?

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