Fabrizio Boron e Matteo Salvini. Foto dal profilo Twitter di Boron

l'intervista

Anche a Padova il centrodestra è in tilt. “Salvini fa davvero il bene della Lega?”

Francesco Gottardi

Il Carroccio spaccato in vista delle amministrative: da una parte il candidato scelto da Roma, che non ha l'appoggio neppure di FdI, dall'altra il campione di preferenze di Zaia. “Nei corridoi il malessere è ovunque. Così si perdono altre elezioni", ci dice il consigliere regionale leghista Boron

Altro che federazione del centrodestra. Dopo le amministrative di Roma e Milano, batoste presto dimenticate, oggi la partita si sposta a Padova. Per le prossime elezioni è sceso in campo Francesco Peghin, lo yes man di Salvini, che un po’ nel far west si sente per davvero: “Ci vorrebbe Tex Willer per salvare la città”. Fratelli d’Italia però non riconosce la sua candidatura. Il Carroccio locale ancora meno, ben oltre la base in rivolta, quasi epurata dal pugno duro del capitano.

“Lo ribadisco”, dichiara al Foglio Fabrizio Boron, potente consigliere regionale della Lega: “Do la mia disponibilità a correre come sindaco”. Sfidando Peghin. “Che si convochi un tavolo di discussione e si scelga il profilo migliore, in base al programma. Ma il problema è che ormai non c’è più dialogo. Né all’interno della coalizione, né fra di noi. Roma decide, chi parla va fuori. In trent’anni di militanza, mai vista una cosa simile. E faccio fatica a capire perché: si fa il male del partito, se alle proposte di partecipazione l’unica risposta è l'espulsione”.

Visti i precedenti recenti, ci sarebbe abbastanza materiale anche per la sua di espulsione. Ma qui la posta in gioco scotta. Non si tratta dell’amministratore di un comune minore, di un veterano al tramonto, di una macchietta locale. Boron è un campione di preferenze, al secondo mandato in regione, entrambe le volte il nome più votato di tutto il collegio padovano – sia in provincia sia in città. E soprattutto è un centravanti della lista Zaia: silurare lui vorrebbe dire colpire il governatore. Finora quiescente, tra i due fuochi. “Tra le votazioni a Roma e le procedure Covid, ultimamente anche per noi è difficile incontrarlo. Però una cosa la posso dire”. Prego. “Quando si chiacchiera, nei corridoi di palazzo, il malessere è ovunque. In tutto il Veneto. Anche se nessuno lo dichiarerà mai apertamente c’è uno sfogo quotidiano. Coinvolge colleghi appassionati, che lavorano insieme da sempre e non si capacitano di questa gestione della Lega. È da settembre che invoco un piano condiviso per le amministrative. E dall’altra parte silenzio, novità solo a mezzo stampa”. Boron sorride. “Ad oggi non ho conoscenza di provvedimenti nei miei confronti: andare avanti e non ti curar di loro. Perché si è leghisti dentro”. E lo si è anche su Whatsapp: immagine del profilo con Braveheart color verde Padania anziché blu di Scozia. “La nostra maturazione politica è frutto di anni di lavoro: mettere al centro il territorio, l’autonomia, la voce sindacale forte. Mica basta una nomina dall’esterno”.

“Chi impartisce ordini non conosce Padova da vicino: qui l’unico con un ruolo istituzionale sono io”. E Peghin, il candidato pistolero? Al di là degli slogan è stato campione del mondo di vela e presidente locale di Confindustria. “Chiunque pensi di arrivare dandosi toni di comando ha capito male. È questione di metodo, più che di persona: Padova si ascolta e non si conquista. È una città particolare, di mondo, un incastro fra aree popolari, industriali e dirigenziali. Ospedaliera e universitaria. Un contesto che coinvolge tutti. Da capire a fondo anziché semplificare. Dopo cinque anni di centrosinistra va bene puntare su maggiori controlli, sulla lotta al degrado. Ma gridare che questa è la New York degli anni Settanta non corrisponde al vero”.

A storcere il naso sono anche gli alleati di Fratelli d’Italia. “Fabrizio, ma qua non ti chiama mai nessuno?”, Boron racconta le battute coi meloniani. “Conosco bene la loro dirigenza. Se questi sono gli inizi della trattativa, la vedo male”. Non c’è solo lo stallo alla padovana: il senatore Luca De Carlo, coordinatore regionale del partito, ha detto che se la Lega non accetta la candidatura di Federico Sboarina a Verona ci saranno ripercussioni a livello nazionale. “Una fibrillazione ben nota, che si ripercuote su tutte le altre città al voto. Le coalizioni di percorso non possono funzionare con gli aut aut. Ma in parte capisco FdI: per Peghin il confronto con l’area di centrodestra non c’è stato e adesso scoppiano i malumori”. Lasciando campo alle alternative civiche. FdI ci pensa, Boron non lo dice ma ha tutto pronto in caso di fumata nera – compresa la sua associazione culturale, movimento politico in potenza: si chiama “Vale Padova!”, con quel punto esclamativo che ricorda il vecchio “Fare!” di Tosi, capostipite del Carroccio ribelle.

Perché nonostante i fuochi d’artificio, ufficialità da parte della Lega per Peghin non sono ancora arrivate. Inevitabile il pasticcio all’orizzonte: o un candidato inviso dentro e fuori, o il dietrofront dopo annunci e benedizioni varie. “Non mi faccio troppe illusioni. Ma non vorrei che Padova diventasse l’emblema di un nuovo sistema di verticismo”, riassume Boron. “Basterebbero 24-48 ore per convocare un tavolo di discussione per ogni città, dalle scelte di comunicazione e candidato al coinvolgimento dei sostenitori. Volere è potere, insisto per il bene comune: i cittadini percepiscono la confusione. E se continuerà così la pagheremo cara alle urne”. Di nuovo.