La federazione di Salvini è già morta. E sulle amministrative di maggio è buio pesto

Valerio Valentini

L'idea di unire i "Repubblicani" non c'è già più. Il Cav. si accontenta di isolare la Meloni, che logora la Lega. Occhio alla mozione di FdI sui balneari a metà febbraio. "Lì rischiamo", dice Giorgetti. E per le comunali di primavera la coalizione resta sospesa

Pare abortita prima ancora d’essere stata concepita davvero. E del resto cosa sia, esattamente, non sa dirlo neppure lui che l’ha proposta. E così, quando si vede richiesto di un chiarimento, Matteo Salvini dà risposte in cui la supposta “federazione dei Repubblicani” svapora in qualcosa si più vago, più sfuggente. Ai leghisti lumbàrd, ansiosi di mantenere la propria autonomia all’ombra dello scudo di Alberto da Giussano, tre giorni fa l’ex ministro dell’interno ha offerto rassicurazioni: “Andremo verso un centrodestra diverso, coeso, ma questo non vuol dire che la Lega sparirà. La Lega c’è e rimarrà”.  Rimangono però, almeno per ora, anche i dubbi dei parlamentari del Carroccio. Appesi, pure loro, ai volubili umori del capo. “Matteo è fatto così, scopre le carte una alla volta”, prova come può, Riccardo Molinari, a rassicurare i suoi deputati. “Federazione? Io preferisco parlare di federalismo”, tagliava corto Luca Zaia, in attesa del discorso di Sergio Mattarella.

Figurarsi allora quanto possano sentirsi rincuorati i parlamentari di Forza Italia. “Ma per le prossime amministrative, che si fa?”, domandava, perplesso, giovedì, il toscano Massimo Mallegni davanti alla buvette di Montecitorio. E Maurizio Gasparri, con romanesca disillusione, alzava le braccia: “Ma che ne so, qui è ancora tutto per aria”. In effetti è quella, la prima scadenza. Le comunali di primavera, che si terranno tra maggio e giugno in molti importanti capoluoghi, impongono di capire quale sia lo schema di gioco. E ci sta che Giorgia Meloni, furbescamente, mostri fastidio a sentirsi parlare di “candidature congiunte”, dopo il quarantotto quirinalizio. “Per giorni ha continuato a proporci candidature di gente con cui aveva a malapena parlato a telefono”, ha spiegato ai suoi. I quali però sono consapevoli che, al di là del tatticismo, la questione del perimetro delle alleanze è reale, e rischia di lasciare Fratelli d’Italia con molti consensi ma poco spazio di manovra. “Decideranno i territori, e non il nazionale”, prova allora a risolverla Francesco Lollobrigida. “Fermo restando che noi con la sinistra non andiamo, si valuterà caso per caso, tenendo conto delle dinamiche locali, sapendo che comunque ci sono molte valide amministrazioni di centrodestra da salvaguardare”. E d’altronde la Meloni come potrebbe difendere alcune sue roccaforti, come la L’Aquila governata dal suo Pierluigi Biondi, senza il sostegno dei suoi ex (ex?) alleati? L’idea per uscire dallo stallo pare insomma davvero quella di creare dei “comitati civici”, dei tavoli di confronto città per città, coinvolgendo anche professionisti e imprenditori, per definire le candidature. Un film che chi ha seguito la farsa delle ultime amministrative, a Milano e a Roma, spera francamente di non dover rivedere.

“Non credo che si muoverà nulla, a breve”, è stato comunque il dispaccio diramato da Arcore nelle scorse ore, dopo l’incontro del Cav. col capo del Carroccio. Da cui, se una strategia comune è stata abbozzata, riguarda semmai l’idea di stringersi a coorte per frenare l’assalto da destra del plotone patriottico della Meloni. Ed è questo il logorante assillo che spingerà Salvini a interpretare il ruolo di chi recalcitra, nell’esecutivo, di chi chiede e pretende e critica e condanna, pur restando fedele a Mario Draghi. “Il premier deve capire che se insiste a seguire la linea di Speranza non farà altro che fomentare le componenti dei No Vax nei vari partiti, rendendo difficile la vita di chi vuole sostenerlo”, spiegava due giorni il leghista Edoardo Rixi.

Solo che, per quanto Salvini si sforzi di essere di lotta e di governo, l’impressione è che la rincorsa propagandistica alla leader di FdI sia un po’ come quella che impegnava inutilmente gli ignavi danteschi con l’insegna indegna d’ogni posa: la Meloni giocherà sempre, cioè, ad alzare l’asticella della polemica un po’ più su. Succederà ad esempio anche tra dieci giorni: quando l’Aula di Montecitorio voterà una mozione, calendarizzata per volere di FdI il 14 e 15 febbraio, contro la Bolkestein. In ballo ci sono le licenze dei balneari, la messa a bando degli stabilimenti che Draghi vuole finalmente inserire nel disegno della concorrenza, e su cui la Commissione europea sta per rimproverarci, una volta di più, che siamo in procedura d’infrazione. “Quello è uno dei due temi, insieme al catasto, più delicati, perché i nostri potrebbero andare in fibrillazione”, ha avvertito Giancarlo Giorgetti. E di certo il testo della mozione sarà scritto con l’intento di aizzare gli animi incandescenti dei leghisti. Non a caso, fiutando l’aria che tira, nel M5s hanno chiesto a Giuseppe Conte di convocare una riunione ad hoc, sui balneari, che si svolgerà tra oggi e lunedì sotto la direzione di Mario Turco. Sanno entrambi, Conte e Giorgetti, che le mozioni parlamentari non vanno sottovalutate. Ricordano entrambi la baruffa in Senato sulla Tav, e la crisi del Papeete che ne seguì. Tutto nacque da due mozioni, anche lì: pure su quelle possono cadere i governi.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.