Flavio Tosi ex sindaco di Verona abbandona il suo ufficio dopo la sconfitta elettorale nel 2017 (foto LaPresse) 

L'intervista

Flavio Tosi guarda a Palazzo Barbieri: “La Lega mi segua, o perderà anche Verona”

Francesco Gottardi

“A furia di spartirsi le cariche, il centrodestra sta sparendo dal territorio”, dice il due volte sindaco liquidato da Salvini. Ora punta al tris, da civico: “Sono in corsa solo io”

Le strade di Verona sono già sue. “Flavio Tosi sindaco”, recitano gli unici manifesti elettorali apparsi finora in città. Lui, al telefono, ha l’aplomb della vecchia volpe: “Ma quale stress da elezioni”, sbotta l’ex sindaco scaligero. “La campagna mi diverte. Ormai ci sono abituato. Gli altri, invece?”. Il terzo mandato nel mirino – la fascia tricolore già sua dal 2007 al 2017 –, per la prima volta da indipendente, dopo che Salvini lo cacciò dalla Lega sei anni fa. Ne è passata di acqua sotto i ponti. Oggi Tosi da un lato tende la mano al segretario: “Quella sarà sempre la mia casa, ma sul mio rientro nel partito può decidere solo Matteo”. Dall’altro assapora la libertà. Gongola: “La politica non si fa spartendosi le cariche, ma trovando il candidato migliore. Se il centrodestra vuole vincere a Verona, deve appoggiare il sottoscritto. Non sono io ad aver bisogno di loro”.

Tosi è il simbolo di quel che potrebbe essere la Lega senza freni inibitori: la coalizione, il governo, il Quirinale, l’elettorato da tenere insieme da Trieste in giù. “Di quel che la Liga Veneta era”, puntualizza Tosi. “Ho alle spalle 25 anni di militanza, sono molto più leghista di chi è ancora lì dentro”. Ovvero? “Le proposte del territorio, storica forza del Carroccio, non contano più. È tutto un do ut des”. L’esempio clou: “In primavera saranno due le partite centrali. E siccome la Lega a Padova ha scelto Francesco Peghin”, ex presidente locale di Confindustria, “Fratelli d’Italia impone Federico Sboarina a Verona”. Il sindaco uscente, passato da Salvini a Meloni lo scorso giugno. “La Lega non lo vuole: sia per il tradimento sia perché il consenso non ce l’ha”. Il nome nel cilindro padano sarebbe perfino Lorenzo Fontana, vicesegretario federale. Ma lo sfidante è sicuro: “La candidatura di Sboarina rimarrà sul tavolo fino alla fine. E il confronto con lui mi va di lusso: ha fermato la città, i veronesi lo sanno. Non c’è opera pubblica riconducibile a lui. Il Covid è un alibi che non tiene”.

Così Tosi è un uomo solo al comando. Nel senso che non ha partiti che lo appoggiano, ma nemmeno avversari che gli stanno dietro. “Sono un pragmatico”, sorride. “Se la strada passerà per il dialogo con la Lega perché no, è quella la mia area di appartenenza. La soluzione più agevole per tutti sarebbe andare divisi al primo turno e poi allearsi al ballottaggio. E lì, che vinca il migliore”. Non lo preoccupa nemmeno l’outsider del centrosinistra, che temporeggia come gli altri. “Lo conosco bene e lo apprezzo molto come persona: ma con tutto il rispetto, Damiano Tommasi è un ex calciatore. Io le procedure amministrative le conosco dalla a alla z. Quando entravo in consiglio comunale nel ’94, lui iniziava a giocare nell’Hellas. Ci vuole mestiere per governare Verona”.

L’ottimismo gli arriva dalla consapevolezza. “Tutto è lontano dalle campagne elettorali di una volta: solide, lineari. Oggi le forze in campo sono deboli, schiave di logiche nazionali pericolosissime per il centrodestra", continua. "Avete visto le ultime amministrative?” Eccome. “Sala a Milano ha stravinto perché è bravo. Calenda a Roma è stato ancora più eclatante: da solo, in una realtà così intricata, ha preso il 20 per cento”. Saltano gli schemi, Tosi a tutto gas. “Al di là dei colori, si tratta di profili di grande esperienza e capacità amministrativa. Mi sento assolutamente più vicino a loro che alla Meloni. E così tutta la vecchia Lega: Giorgetti a suo tempo disse la verità, prendendosi qualche mala parola. Pragmatismo contro demagogia, capacità di governo contro arroccarsi all’opposizione. Dai, di che parliamo”.

Il mio Carroccio nacque un po’ improvvisato, però presto ha cominciato a sfornare amministratori. Una classe dirigente preparata. Ora però – arriva l'affondo – la mancanza di congressi inizia a farsi sentire: l’unica forza che mantiene una vera struttura partitica ormai è il Pd”, ammette Tosi. “È tempo di tornare a battere sul territorio”. E al Quirinale? “Draghi deve restare al governo, guai se no. Il Mattarella bis sarebbe forse il male minore. Poi se al centrodestra serve un nome condiviso, dico Gianni Letta: gradito a Berlusconi e di prestigio istituzionale”. Ma la Lega Nord non era quella di lotta, del ce l’abbiamo duro? “Mannò. Vogliamo fare e governare. Vedrete a Verona”. Tosi se la sente in pugno. Quasi lo dice.

 

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