L'analisi

Salvini sogna la federazione con Forza Italia, ma tifa per Le Pen e annuncia battaglia con Draghi

Valerio Valentini

Un po' col Ppe, un po' coi fasci portoghesi. Il leader della Lega vuole restare al governo, ma prova a convincere il Cav. a unirsi per fare fronte comune contro la Meloni. La minaccia sulla riforma del catasto: "Se è così, non votiamo la delega fiscale". Le contraddizioni in Europa e i mugugni di Giorgetti e dei governatori del nord

Vagheggia la federazione dei moderati, ma elogia l’ultradestra portoghese. Rinnova la fedeltà a Mario Draghi, ma fa il tifo per Marine Le Pen. E forse ha ragione Giorgio Mulè, sottosegretario azzurro alla Difesa, quando dice che “il ragazzo è ancora un po’ confuso, deve chiarirsi le idee”. Sta di fatto che Matteo Salvini, ottenuto il plebiscito di prammatica dal suo Consiglio federale, resta sempre a metà del guado.

A Bruxelles, in particolare, i suoi hanno la labirintite. Venerdì scorso, per dire, Salvini ha spedito a Madrid Paolo Borchia a partecipare all’ennesimo incontro preparatorio per la costruzione del futuribile “grande partito della destra identitaria europea”. E lui, Borchia, ben felice s’è prestato: e allora le foto di rito e gli ossequi  a Le Pen e Orbán (“Viktor è un tipo simpaticissimo!”), poi gli hanno riferito che a Roma si stava per votare Sergio Mattarella, ed è rimasto basito, quantomeno. Del resto, poche ore dopo, Salvini  si sarebbe complimentato con André Ventura, leader del partito di estrema destra che è alleato del Carroccio nel gruppo europeo di Identità e democrazia e che alle elezioni in Portogallo ha ottenuto un lusinghiero terzo posto. E siccome nella propaganda di Chega c’è tutto quell’armamentario di bracci tesi e slogan xenofobi, e pene di morte e castrazioni chimiche, tra i leghisti di Bruxelles c’è chi s’è chiesto se davvero il ribadire i legami coi partiti relegati nel girone dei reietti “sia compatibile col volerci proporre come federatori dei repubblicani”. Senza contare, poi, che al momento i Repubblicani, in Francia, hanno un grosso problema coi sovranisti, in vista  del secondo turno alle presidenziali di aprile. E invece la Lega non solo non sosterrà Valérie Pécresse, ma farà campagna per quella Le Pen che è la rivale più accanita di Emmanuel Macron, col quale Draghi lavora d’intesa per la riforma del Patto di stabilità. E non a caso  Antonio Tajani, che  sui temi europei è sensibilissimo, è netto nel dire che “la proposta di Salvini andrà valutata nel tempo, ma il collocamento di FI nel Ppe non è certo in discussione”.   

Lo sa bene anche Giancarlo Giorgetti. Il quale, nelle settimane passate, s’è visto sollecitato da alcuni colonnelli del Carroccio a riprendere quel progetto mai attuato di portare Salvini in giro  per le capitali e le cancellerie europee. “Io faccio quello che mi chiede Matteo”, ha ripetuto il ministro, col broncio di chi  non s’è dimenticato il trattamento che allo scorso federale, a novembre, aveva subito perfino dal capo della giovanile, Luca Toccalini. “E siccome Matteo era rimasto a guardare, il Giancarlo se l’è legata al dito”, raccontano a Via Bellerio.

Dove ieri s’è riunita di nuovo il gran consiglio padano. Di strategie internazionali s’è parlato poco, in effetti. Salvini ha ribadito la volontà di stare al governo (“Con Draghi ci vedremo nei prossimi giorni”), e di starci fino in fondo, “per ottenere i nostri obiettivi e distinguerci da chi sa dire solo dei no”. E dunque si è concordato di chiedere, tanto per cominciare, lo stralcio dell’articolo 6 della delega fiscale, quella che avvia la revisione degli estimi catastali: “Se resta, noi non la votiamo”, è stata la decisione. Il che dimostra come la permanenza nell’esecutivo ponga a Salvini il solito problema: quello di guardarsi da Giorgia Meloni, “che continuerà a fare opposizione con l’obiettivo di mettere in difficoltà anzitutto noi”. Per questo l’intesa di massima raggiunta col Cav., due giorni fa, punta proprio a fare fronte comune contro “l’ingrata”, la “sabotatrice”, insomma la Meloni: federarsi per isolarla, insomma, per metterla nell’angolo, per poi trattare con lei, alla vigilia delle elezioni, da una posizione di forza. Per il resto, a parte i soliti mugugni di Zaia e Fontana sull’autonomia dimenticata, e i lamenti di Fedriga per lo scarso ascolto delle istanze delle regioni sulla gestione della pandemia da parte del governo, il federale s’è chiuso con la solita dichiarazione d’unanimità. E del resto, per il solo aver criticato le timidezze del capo sui vaccini, l’ex segretario della Liga Toni Da Re s’è visto messo alla sbarra, con la richiesta di sei mesi di sospensione.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.