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Conte s'è accorto che Di Maio vuole fargli le scarpe. Capolinea grillino

Simone Canettieri

Nel M5s il caos è fisiologico, ma qualcosa sta cambiando. L'ex premier inizia ad avere più di un sospetto sul fatto che dietro alla momentanea anarchia ci sia proprio il ministro degli Esteri, tutto relazioni e frequentazioni trasversali

“Dopo il Quirinale farò chiarezza nel M5s una volte per tutte. Altrimenti…”. Giuseppe Conte non usa la parola resa dei conti, ma il senso è quello. L’ex premier è alla guida dell’aereo più pazzo del mondo. In grado di avere doppie e triple posizioni su tutto (ieri è stata la volta di Beppe Grillo e dell’elogio del modello cinese contro l’obbligo vaccinale). Il caos è fisiologico in un partito che conta ancora una decina di No vax (giorni fa il deputato M5s Gabriele Lorenzoni in assemblea ha detto che “la pandemia è uno stato mentale”). Tuttavia qualcosa sta cambiando. Conte inizia ad avere più di un sospetto sul fatto che dietro al caos ci sia proprio Luigi Di Maio, il felpato ministro degli Esteri, tutto relazioni e frequentazioni trasversali.
Fra i due i rapporti sono “inesistenti”, raccontano tre fonti diverse interpellate dal Foglio.  L’avvocato del popolo quando deve parlare con il titolare della Farnesina, per non legittimarlo, convoca “contesti molto allargati”: ministri, capigruppo di Camera e Senato, i cinque vicepresidenti. Riunioni a cui non partecipa Rocco Casalino. Anche l’ex potentissimo  portavoce di Palazzo Chigi è vittima di un clima ingovernabile dove perfino l’ultimo dei deputati alza la voce e pone piccoli veti sulla comunicazione facendo pesare il proprio voto in vista del Quirinale. Ma cosa ha in testa Di Maio? Quanti parlamentari controlla? Chi partecipa alle riunioni riservate racconta che il ministro degli Esteri è il primo a ripetere che Draghi non può muoversi da Palazzo Chigi perché ne va della stabilità del paese. E’ stato proprio Di Maio a proporre giorni fa il nome di Letizia Moratti (piano C del centrodestra), sottolineando che noi “dobbiamo essere abili a spostarci a destra e a sinistra purché riusciamo a incidere”. 

 

E qui poi però c’è il sospetto. Conte pensa che il suo ex amico Luigi giochi una doppia partita: che dentro dica una cosa e fuori un’altra. E cioè che rassicuri Draghi in merito alle sue ambizioni quirinalizie. Perché? Per intestarsi la manovra finale che potrebbe far saltare la leadership del M5s: la virata a sorpresa dei grillini sull’ex banchiere, magari con Conte che ancora frena. Sarebbe l’incidente perfetto per le dimissioni del giurista di Volturara: il quasi leader, il capo mai sbocciato, incapace di guidare le truppe parlamentari. Al contrario, mettere il proprio sigillo sul Quirinale, per Di Maio sarebbe la garanzia di una riconferma alla Farnesina nel futuro governo e, in caso di carambola fortunata, anche l’approdo a Palazzo Chigi come premier. 
Il sogno che non si realizzò nel 2018. Un’ipotesi complicata. Se dovesse toccare a un grillino la guida del governo, c’è chi non esclude nemmeno Stefano Patuanelli, capo delegazione, turbo contiano, stimato trasversalmente. Ma sono tutti esercizi di fantasia. Per Conte, capo della prima forza parlamentare, la miglior soluzione rimane quella tecnica. Un premier indicato da Draghi che costringa la Lega a non uscire dalla maggioranza. Insomma una guida non politica, un modo per non intestarsi troppo l’esecutivo a un anno dalle elezioni. 

 

Se l’ex premier supererà indenne il voto per il Quirinale ha in mente di arrivare a un chiarimento forte e pubblico con il suo rivale interno, abilissimo a cambiare posizionamento. Ma si può passare il tempo a coprirsi le spalle da quelli che dovrebbero essere compagni di strada? Conte in questo momento se lo sta domandando. E  spesso, quando vede quanto sbanda il suo partito, accarezza cattivi pensieri: mandare tutti al diavolo e ritornare al proprio mestiere oppure trovare il coraggio che gli mancò lo scorso febbraio. E cioè: mettersi in proprio, fondare un soggetto verde, che in Italia manca (come gli ripete di frequente l’amico Goffredo Bettini). Sono mosche che spesso gli ronzano sotto al naso, ma che alla fine Conte scaccia. Meglio resistere: provare a fare pulizia quando ci saranno da compilare le liste elettorali. Un passaggio che anche in questo caso Di Maio ha cercato di prevedere: è il presidente del collegio di garanzia che ratifica le candidature. Una guerra eterna con due protagonisti che rischiano di eliminarsi a vicenda. E Grillo? Gli amici di Conte dicono che “ha capito il gioco di Luigi: cioè farsi i fatti propri”. Gli amici di Di Maio assicurano che “Beppe si è ancora più convinto che Giuseppi non è il futuro del Movimento”. Con queste premesse, fra meno di tre settimane, il M5s è chiamato a eleggere il nuovo presidente della Repubblica.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.