La Lega exit

Salvini nega ma prepara l'uscita dal governo con Giorgetti. Il no di Zaia e Fedriga

Carmelo Caruso

La nuova agenda della Lega è la spia della possibile uscita dal governo. Il ministro dello Sviluppo economico cancella un'altra data dai suoi impegni. Il protagonismo dei governatori

Sì, è vero. Possono uscire dal governo e lo potrebbero fare per queste ragioni: “Perché abbiamo una nuova piattaforma politica. Perché gli italiani si accorgeranno prestissimo che non c’è solo il Covid. Perché la nostra battaglia sarà sul nucleare. Perché gli industriali del nord sono adesso scettici sulla capacità dell’esecutivo”. Matteo Salvini potrebbe dunque “disunirsi”.

 

Racconta una fonte della Lega, valida, alta, che c’è un’importante novità. “Si è ricostruito un rapporto tra Giancarlo Giorgetti e Salvini. Entrambi lo negano ma non escludono l’abbandono”. E’ scattato un meccanismo perfetto che dovrebbe portare la Lega fuori da Palazzo Chigi subito dopo l’elezione del capo dello stato. Viene favorito da una maggioranza (Pd-Fi) che ha tutto l’interesse a estromettere questa forza, ad accompagnarla fuori. Essere cacciati sarebbe infatti il massimo.

 

Nel partito si parla di pianificare una “presa di distanza fortissima dall’esecutivo”. Abbiamo rivolto una domanda esplicita a chi è vicino a Salvini e la risposta è stata questa: “Con Draghi ci restiamo fino al 2023, non c’è motivo di uscire prima di allora tanto più dopo i sacrifici fatti e i risultati che arriveranno. E’ merito di una squadra di ministri – Giorgetti in testa – che è di qualità”. Nella risposta ci sono due nomi non negoziabili. Uno è Draghi e l’altro è Giorgetti. Uno potrebbe essere eletto presidente della Repubblica, l’altro sta vivendo un momento particolare.


E’ il momento che vivono i malinconici e dunque quello dei pensieri assoluti. Lunedì salterà un altro appuntamento dopo il Cdm del 5 gennaio. Era previsto a Padova. In qualità di ministro avrebbe dovuto presentare il Pnrr alla città. L’ufficio stampa del comune conferma: “Giorgetti non ci sarà. I motivi sono personali”.


Sul serio non bisognerebbe mai speculare sulle “ragioni personali” che hanno impedito a Giorgetti di partecipare all’ultimo Cdm o di cancellare la data di Padova. E però, non si fa torto se si dice che quello che sta attraversando il ministro dello Sviluppo economico è un intervallo tormentato: è il tempo che precede lo spezzarsi delle cose, quello in cui l’unico desiderio che ci anima è la “fuga all’inglese”, l’altrove cantato da Paolo Conte, perché “tanto di noi si può fare senza/ e chi vuoi che noti mai la nostra assenza”.


Non è impensabile immaginare che l’uomo che è servito a Salvini per portare la Lega al governo possa essere lo stesso che la possa condurre fuori con un suo gesto. C’è insomma una novità politica che è la novità di cui si parlava all’inizio. E’ la ritrovata intesa fra Giorgetti e Salvini. La nuova bandiera della Lega è quella che ha agitato in questi mesi Giorgetti. Si tratta della battaglia energetica e si aggiunge all’altra battaglia (ritenuta vincente) sulla giustizia. Come si vede c’è una nuova agenda ed è un’agenda che nel partito garantiscono “ha già sollevato le proteste di Enrico Letta. Dunque è perfetta”.


Abbiamo fatto un’ulteriore domanda, questa volta scherzando, e a un’altra fonte, ma sempre altrettanto vicina al capo. Il senso era questo: “Può Salvini permettersi un altro Papeete? Non sarebbe la replica di uno sfascio?”. La risposta è stata a sua volta divertita: “E’ inverno. Non funziona la metafora”. Non c’è un’ostilità della Lega verso Draghi e non ce ne sarebbe ragione. I ministri, nell’ultimo Cdm, si sono accorti che in tutti i modi il premier ha cercato il compromesso. Ha tenuto insieme la Lega, che si opponeva all’obbligo vaccinale, con Pd, Fi, Leu e Iv che, al contrario, chiedevano “ancora e di più”.


La Lega ha responsabilmente votato a favore ma non ha cambiato opinione: “L’ultimo Cdm è stata una mediazione politica al ribasso. Non è da Draghi. Anche se siamo sicuri che saprà rifarsi”. L’altra valutazione severa, che viene fatta dall’ambiente vicino al leader della Lega, è nei confronti dei propri governatori: sono il vero ostacolo per un’eventuale uscita. Ieri, tra le tante fantasie, girava pure quella di ridurre la presenza della Lega al governo e di lasciare solo la ministra Erika Stefani. E si trattava ovviamente di una fantasia generata tuttavia da una difficoltà autentica.


Luca Zaia non accetterebbe l’uscita così come Massimiliano Fedriga. Sarebbe lui il presidente leghista della Conferenza stato-regioni “l’osservato”, quello che Giorgetti è stato per un intero anno, il presidente “che non avrebbe mai dovuto scavalcare il suo capo delegazione”. Viene rimproverato più a Fedriga che a Zaia di “essersi lasciato trascinare nella battaglia sull’obbligo vaccinale”, di essere stato utilizzato da “Speranza e Brunetta, i ministri che hanno messo in difficoltà prima Giorgetti e poi Garavaglia. Non esiste che un governatore dia la linea a un ministro”.

 

Si è capito quindi qual è la loro forza? Ci sono almeno tre leghe, e poi c’è Salvini che ne ha sempre una in più. Quando non ha quella di Giorgetti, ha quella di Zaia e di Fedriga. Quando non ha quella di Fedriga e Zaia torna ad avere quella di Giorgetti. Ce n’è sempre una in minoranza ma non è mai la Lega di Salvini.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio