Radiografia del gruppo Misto, che sogna la rivincita sul Colle

Valerio Valentini

Circa centodieci grandi elettori divisi, tra Camera e Senato, in dodici sigle. Ma il minimo comun denominatore, che peserà durante l'elezione del prossimo presidente della Repubblica, è una diffusa ostilità a Mario Draghi

A galvanizzarli c’è la forza dei numeri, e la convinzione che saranno decisivi col prolungarsi della sfida. “Io continuo a insistere: se la partita del Quirinale non si risolve entro i primi tre scrutini, allora col Misto bisognerà farci i conti”, ripete Maurizio Lupi, che la palude dei dannati, le sue molte e mutevoli componenti, le conosce bene, e un poco prova anche a coordinarle, a dispetto di ogni snobismo. Per questo giorni fa, insieme a Vittorio Sgarbi, è andato a confrontarsi con Pino Cabras, complottista filo-Maduro che s’è messo a capo degli ex grillini di Alternativa c’è, e vanta contatti trasversali. “Tutti ci cercano”, esulta il deputato sardo. 


Eccolo Cabras, novello Figaro, avvicinato  dal leghista Claudio Borghi, in un momento di pausa dei lavori d’Aula. Eccolo subito dopo a colloquio con un drappello di meloniani. Francesco Lollobrigida, capogruppo di FdI a Montecitorio, è convinto di aver trovato una truppa di riserva in quei 16 deputati ex grillini, che uniti ai due di Palazzo Madama fanno 18. “Ma sbaglierebbero a pensare che andremo sulla loro scia”, dice Mattia Crucioli, senatore di Alternativa. “Saremo anzi noi a proporre dei nomi che scompiglieranno il quadro”. Uno di quelli sussurrati da Cabras è Giulio Tremonti, che garantirebbe un asse con la destra. “Ma altri candidati, magari pescati tra le vecchie rose scelte dagli iscritti del M5s che fu, ci permetterebbero invece di tentare anche nostri ex colleghi del Movimento”, insiste Crucioli. E’ forse in quest’ottica che Gianluigi Paragone, leader del drappello di Italexit, ha proposto il nome di Paolo Maddalena: “Costituzionalista, autore di libri che denunciano gli scandali della finanza: volete scommettere – ha detto giorni fa alla buvette di Palazzo Madama – che in tanti, sia nella Lega sia nel M5s, farebbero fatica a dire di no?”.


Un gran guazzabuglio di sigle, un girone dei malcontenti, quello del Misto, in cui è facile perdersi. Ci sono sono 66 deputati e 48 senatori, al momento: divisi, nelle due Camere, in dodici diverse componenti. Si confondono perfino loro che la frequentano, questa strana brigata. Al punto che c’è stato chi, come Andrea Cecconi, s’è ritrovato invitato in due diverse riunioni di sottogruppi tra loro ostili. Non un blocco granitico, insomma, e neppure omogeneo: unito soltanto, semmai, da una abbastanza diffusa ostilità all’idea di eleggere Mario Draghi al Colle.


Al Senato è molto forte il richiamo a sinistra. Il più attivo è Matteo Mantero, ex grillino iscrittosi a Potere al popolo, che collabora con Paola Nugnes ed Elena Fattori, e un po’ anche con Lele Dessì, passato dalla fedeltà a Paola Taverna alla fede nella falce e il martello. Fanno blocco col gruppetto di Leu, capitanato da Loredana De Petris. “Draghi? Draghi è bene che resti a fare il premier”, taglia corto lei.


Tesi analoga a quella sostenuta dai calendiani di Azione e +Europa (cinque in tutto, tra Camera e Senato) e anche da Bruno Tabacci, sottosegretario a Palazzo Chigi che nel Misto ha dalla sua sei deputati, ai quali spiega che la soluzione migliore sarebbe quella del Mattarella bis. “A Mario gliel’ho detto che la situazione in Parlamento, per lui, è tutt’altro che agevole”, ha confessato giorni fa ad alcuni colleghi del Pd. Spera forse di tornare centrale, anche lui, come lo fu ai tempi della crisi del Conte bis, quando l’allora premier lo incaricò di trovargli nuove leve per sabotare l’imboscata di Matteo Renzi. Finì come si sa. E il bello è che ora alcuni di quegli aspiranti responsabili sono stati avvicinati da emissari del Cav. in caccia di voti per Berlusconi. “Risposte? Vaghe, per ora”, hanno riferito ad Arcore. 


E forse allora c’è davvero da tenere in considerazioni le raccomandazioni di Cabras. Che a metà dicembre, durante una delle sue frequenti riunioni su Zoom, ha catechizzato i suoi compagni di componente: “Alle prime votazioni dovremo essere compatti, pesarci. Vederete che saremo almeno 60, e a quel punto tutti verranno a cercarci”. Non chiamateli peones

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.