"Draghi? Meglio al Quirinale", dice Bill Emmot sul Financial Times

L'ex direttore dell'Economist: "In un mondo ideale, l'ex capo della Bce sarebbe a Chigi cinque anni, ma la migliore soluzione imperfetta è averlo come capo dello stato". Ecco perché

Mario Draghi al Quirinale? Fino a oggi, non era un'ipotesi che sembrava andare molto a genio alla grande stampa internazionale. "C'è il pericolo che questa insolita esplosione di buon governo possa subire un'inversione", avvertiva solo quattro giorni fa l'Economist, nel decretare l'Italia migliore paese dell'anno. Draghi dovrebbe formare un trio di governo centrista in Europa, insieme a Macron e Scholz, ha scritto Politico il 9 dicembre scorso, schierandosi - tra le righe - più con l'ipotesi di Draghi a palazzo Chigi invece che al Colle. E anche il Financial Times, il giorno prima, aveva espresso i suoi dubbi. "La prospettiva– sosteneva il quotidiano economico – che l'ex capo della Banca centrale europea si faccia da parte come primo ministro italiano per assumere la presidenza minaccia di far precipitare il paese nell'instabilità politica". 

   

        

Ora invece il quotidiano finanziario britannico pubblica un'autorevole posizione contraria. L’ex direttore dell’Economist Bill Emmott, spesso impietoso fustigatore dei malanni italiani, nella sezione opinioni del Ft sostiene che "in un mondo perfetto", Draghi dovrebbe rimanere premier per tutti i cinque anni necessari a completare il Pnrr che ha lui stesso introdotto lo scorso febbraio. "Ma se il risultato perfetto è irraggiungibile, è giusto optare per la migliore soluzione imperfetta: vale a dire che Draghi sia eletto presidente della Repubblica dal Parlamento a fine gennaio, e da lì per i prossimi sette anni sovrintenda alle questioni come capo dello stato". 

  

Anche perché, sostiene Emmott, Draghi non potrà realizzare altrettanti "notevoli progressi come nei suoi 10 mesi in carica" perché questi "sono dipesi dalla tregua" tra i partiti dell'ampia coalizione che lo sostiene, dove solo Fratelli d'Italia è all'opposizione. "Dopo gennaio, quel cessate il fuoco potrebbe durare per altri sei mesi al massimo prima che prenda il sopravvento la febbre elettorale: sei mesi con le mani su un volante sempre più tremolante rispetto a sette anni da autorevole vigile urbano".

 

Il commentatore non ha dubbi: "Una riforma da manuale richiederebbe dieci anni di mandato, aiutato da una base politica stabile. Nel mondo reale, costantemente volatile, della politica italiana, il governo Draghi ha già ottenuto molto: il piano di spendere 191,5 miliardi di euro dal Fondo Ue Next Generation, più 30,6 miliardi di euro di fondi propri dell'Italia".

   

D'altronde, "in Italia non sono mai mancate nuove leggi. Ciò che è mancato è stata l'attuazione consistente e coerente delle riforme. Qualche mese in più di Draghi come premier sarebbe utile per questo, ma non trasformativo. Occorre che gli equilibri della politica italiana si spostino verso l'accettazione e l'attuazione a lungo termine" delle riforme, "affinché possano durare attraverso i successivi governi". E questo mutamento di prospettiva potrebbe essere aiutato "da un capo di stato tenuto in grande considerazione in patria e all'estero". Anche perché, ricorda Emmott, con la crisi dei partiti italiani, negli ultimi tempi i presidenti della Repubblica "hanno utilizzato i limitati poteri del ruolo in modo sempre più efficace"

"Se Draghi salirà al Quirinale a febbraio, probabilmente rimarrà un sostegno sufficiente in Parlamento per la formazione di un nuovo governo ad interim", magari guidato "da uno dei suoi attuali ministri non politici": un "governo fotocopia", il più vicino possibile all'attuale. Il Financial Times non si fa illusioni: "Sarà debole e probabilmente incapace di approvare molte leggi. Ma potrebbe fare un importante lavoro di comunicazione all'esterno portando a termine nel contempo la gran parte del lavoro di dettaglio necessario per spendere bene i soldi dell'Ue. A quel punto sarebbe tutto in gioco nelle elezioni del 2023, supervisionate dal presidente Draghi". 

 

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