Quirinale, Draghi e Europa: gli spettacolari ceffoni di Giorgetti a Salvini

Claudio Cerasa

Anche il numero due della Lega se n'è accorto: Draghi è un’assicurazione sulla vita dell’Italia per i prossimi sette anni. L’alternativa rischiosa a non far salire il premier sul Colle sarebbe quella di non averlo né a Palazzo Chigi né al Quirinale

Giancarlo Giorgetti merita una parola d’elogio per quel che ha detto ieri su Mario Draghi, sul suo futuro, sulla sua traiettoria, sul suo prossimo passo, e merita di essere ringraziato perché ha introdotto nel dibattito relativo al romanzo Quirinale un elemento cruciale, che ci consente di mettere a fuoco un dato cruciale relativo alla successione di Sergio Mattarella: non cosa potrebbe perdere l’Italia ad avere un Draghi al Quirinale ma cosa potrebbe guadagnare.

 

Giancarlo Giorgetti, leghista, ministro dello Sviluppo, ha detto ieri, in un’intervista rilasciata a Bruno Vespa, che un Draghi al Quirinale sarebbe uno sballo per l’Italia e non sarebbe un dramma per questo governo e per quelli futuri, perché, dice Giorgetti, l’ex governatore della Bce “potrebbe guidare il convoglio anche da fuori: con lui sarebbe un semipresidenzialismo de facto, in cui il Presidente della Repubblica allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole”. Mesi fa, proprio al Foglio, un altro ministro del governo Draghi, Renato Brunetta, disse una cosa simile, sostenendo che “con un Draghi come capo dello stato l’Italia potrebbe realizzare nei fatti qualcosa di simile a una rivoluzione sul modello francese, con il capo dello stato che avrebbe la possibilità, in una stagione come quella del Recovery, di scegliere come capo del governo qualcuno capace di creare una sorta di simbiosi tra Quirinale e Palazzo Chigi”.

 

Ma il dato interessante della linea Giorgetti-Brunetta-Giorgetti, sempre nelle stesse dichiarazioni, ha mollato schiaffi niente male a Salvini, rimproverandogli la sua incapacità di essere europeista fino in fondo, mettendo sotto accusa l’alleanza della Lega con l’AfD e chiedendo al suo leader di smetterla con le ambiguità di fronte all’estremismo anti europeista – è che permette di far fare al dibattito sul possibile futuro di Draghi al Quirinale un piccolo salto di qualità. Esiste un fronte trasversale, inutile negarlo, che rispetto alla prospettiva di spedire il presidente del Consiglio al Quirinale ragiona sulla base di un interesse più particolare che nazionale, immaginando che avere Draghi al Colle possa far aumentare le possibilità di andare a votare il prima possibile (Giorgia Meloni), possa offrire a un qualche partito una nuova parvenza di responsabilità (Matteo Salvini), possa consentire a chi ha ancora Palazzo Chigi tra i propri sogni (Salvini, Meloni, Letta, persino Conte) di avere in prospettiva un rivale in meno con cui gareggiare.

 

Esiste un partito che sogna di fare la cosa giusta (Draghi al Quirinale) partendo da una motivazione sbagliata (Draghi da pensionare) ed esiste invece un partito (finalmente meno silente) che sogna di fare la cosa giusta (Draghi al Quirinale) partendo da una motivazione non sbagliata (Draghi da valorizzare). E le parole di Giorgetti, che a Salvini rimprovera di non essere risoluto, di non essere deciso, di non aver scelto se “sposare una nuova linea o starne fuori”, sono lì a dimostrare quello che in molti oggi non vogliono vedere: avere un Draghi al Quirinale non sarebbe un viatico per far tornare il populismo in auge, come si dice, ma permetterebbe di fare quello che Giorgetti nel suo piccolo sogna, ovverosia usare Draghi per commissariare i populismi di destra e di sinistra non per alcuni mesi, fino alla scadenza della legislatura, ma per i prossimi sette anni. E se per arrivare all’obiettivo giusto (Draghi al Quirinale) occorrerà far credere agli azionisti di maggioranza di questo governo (Pd, M5s, Lega, FdI) che avere un Draghi al Quirinale permetterà ai partiti di avere vita più facile in futuro nulla di male: mai come oggi il fine giustifica il mezzo e mai come oggi dovrebbe essere chiaro che l’alternativa ad avere un Draghi al Quirinale potrebbe essere ben più spaventosa di non averlo più a Palazzo Chigi e potrebbe essere quella di non avere Draghi né a Palazzo Chigi né al Quirinale. Viva Giorgetti.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.