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Eccessi di zelo nel metodo green pass

Giuliano Ferrara

Differenze da cogliere tra il  paradosso dell’emergenza e il rischioso stato d’eccezione schmittiano

Non ho niente contro lo zelo. Ardere di zelo, adorare con intensità e con il naturale fanatismo del cuore che crede, bello. Bello anche condurre a termine un lavoro ben fatto. Rizelarsi, poi, fa parte della condizione umana. E quando Talleyrand ordinava surtout pas trop de zèle ai suoi, lo faceva per scongiurare l’iniziativa personale e essere obbedito meglio. Per la verità non ho niente nemmeno contro, che so, la devozione, sentimento profondo fino all’insondabile al quale pensano di ribellarsi tutti i microscopici dongiovanni del postmoderno, o contro l’obbedienza, che è e resta una virtù quando non sia un sentimento mistico. Il problema come sempre è nell’eccesso.
       

Ecco: sospetto un eccesso di zelo nella gestione del green pass, che non è e non dovrebbe apparire una nuova cimice, come il distintivo che ti mostrava appartenente a partito e regime durante il famoso fascismo. Mi sono scoperto imbarazzato a leggere con una certa quantità di consenso una intervista di Massimo Cacciari alla Verità di Belpietro, non so se mi spiego, e sebbene dall’inizio trovi una coglionaggine certa pensosità agambeniana, bè, non esistono cattivi maestri in fatto di autonomia personale e di diffidenza verso gli eccessi, appunto, di tipo emergenziale. Insomma, andiamoci piano. Qui si lavora a un paradosso dell’emergenza, non a uno stato d’eccezione schmittiano. Il paradosso è che puoi non vaccinarti ma la paghi in lavoro e stipendio o in tamponi a catena, una cosa spessa, un portato delle cose in certo senso e in altro una soluzione dubbia e isolatamente italiana, che fa cogitare noi sudditi disciplinati e parecchio incazzare un mucchio di persone, soprattutto ma non solo a Trieste dove sfilano massicci perché intendono chiudere il porto per protesta e non mi risultano tutti fascisti. 
         

Ieri a tutta pagina il Figaro titolava che con il rinculo dell’epidemia, però attenti, si discute come superare le norme sul green pass, il che è pacifico, e la parola pacificazione non avrebbe dovuto essere un Grillo, che si è comportato addirittura da statista, non so se mi spiego, a dirla per primo.

      
In questo quadro la mozione per lo scioglimento di una minuscola fazione fascisteggiante e lo sbracciamento di una persona intelligente come Provenzano contro la costituzionalità del partito della mujer terrible mi sembrano svirgolamenti dilettanteschi che producono tiri fuori dallo specchio della porta. Non farei altri regali alla psicologia di folle reazionarie e libertarie, fino a ieri viste in azione in alcuni stati americani oppressi dai superoppiacei e dai supereccitanti trumpeschi, non darei una rappresentanza politica agli arrabbiati No vax e un piccolo ma significativo esercito a un’avanguardia di poco di buono. 
       

Il paradosso dei paradossi è poi che abbiano assaltato la sede di un sindacato che predicava nella loro direzione, un prezioso alleato di chi non vuole pagare per lavorare, come dicono. E il paradosso dei paradossi dei paradossi è che il frettoloso richiedente i pieni poteri da spiaggia, il senatore Salvini, in questa circostanza, non so se mi spiego, si è comportato con un sentimento della cosa e dei limiti del potere più rispettoso di certuni affetti da spirito burocratico e tendenze da caserma. Andiamoci piano e finiamola lì, nel senso di un comportamento flessibile che elimini il disdicevole aut aut: o vaccino o lavoro & stipendio. Ci si può mettere di buona lena tutti, il governo con i suoi dpcm necessari, gli imprenditori e i sindacati con la rete anche finanziaria di compensazione tamponatrice del difetto di cimice; e sarà un bel giorno quando tutti gli zelatori indefessi, che chiedono punizioni esemplari per centinaia di migliaia o milioni di lavoratori fermi alle porte della ditta privata o pubblica decideranno di prendersi un momento di respiro e chiuderanno la boccuccia di rosa.
    

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.