ANSA/RICCARDO ANTIMIANI 

La partita delle amministrative

La sveglia che serve alla destra: 0-5

Claudio Cerasa

Sala, Calenda, Lepore, Lo Russo, Bassolino. Poi Occhiuto (Calabria) e Dipiazza (Trieste). Piccoli e spensierati endorsement per dare alla destra la chance di ripartire da zero. Con più Draghi e meno estremismi

Cinque a zero e non se ne parli più. Nella stagione delle coalizioni larghe, matte, grasse e tutto sommato spensierate, non sarà facile dare una chiave nazionale ai risultati delle prossime amministrative ed è ovvio che un conto è votare per le amministrative (dove di solito partecipa il 50 per cento dell’elettorato) e un altro è votare per le politiche (dove di solito si presenta il 75 per cento dell’elettorato). Ma se si volesse provare a dare alle elezioni del 3 e del 4 ottobre un senso di carattere nazionale, quel senso non potrebbe che essere questo: dare una sveglia alla smoderata destra italiana e inviare uno splendido messaggio utile a raddrizzare le leadership di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

 

E per farlo non occorre altro che aprire gli occhi e scegliere i candidati giusti. O quantomeno evitare con forza quelli sbagliati. Piccoli endorsement foglianti, per quello che valgono. A Milano, si va sul sicuro e vale la pena scommettere su Beppe Sala (pistoleri no, grazie) e se la Milano dei prossimi cinque anni riuscirà a crescere in prosperità, benessere, occupazione come la Milano degli ultimi cinque i milanesi potranno dimenticare in fretta il buio e i dolori della pandemia (e il fatto che Sala si candidi scommettendo più sull’unione dei riformisti che sulla resilienza dei populisti – grillini no, grazie – non è  da sottovalutare). A Bologna, vale la pena puntare sul candidato del Pd, Matteo Lepore, un po’ per punire l’incapacità del centrodestra di trovare un nuovo Guazzaloca (si poteva fare) e un po’ per premiare il tentativo del Pd di costruire con il M5s un rapporto finalmente da senior partner (il Pd per trovare un candidato gradito anche al M5s non ha rinunciato a candidare un esponente del Pd: mica male). A Roma, per l’elettorato di centrodestra, e non solo per quello, avrebbe senso scommettere su un indisciplinato di talento come Carlo Calenda, l’unico che tra l’altro in campagna elettorale ha avuto il coraggio di usare parole di verità per denunciare due scandali politici e amministrativi chiamati Atac e Ama (più efficienza, più privati, meno clientela, meno marchette). A Napoli, augurandosi che non sia un magistrato (Catello Maresca) a succedere a un altro magistrato (Luigi De Magistris) e augurandosi che gli elettori possano mostrare un briciolo di indignazione per chi usa con disinvoltura le porte girevoli della magistratura, il voto al primo turno non potrebbe che andare ad Antonio Bassolino, perché un politico che ha affrontato in diciassette anni diciannove processi ottenendo diciannove sentenze di assoluzione non può non essere sostenuto da chiunque si auguri che il primato della gogna non prenda il posto del primato della politica. A Torino, pur essendo il candidato del centrodestra Paolo Damilano l’unico tra i molti in campo nelle grandi città a essere preparato, misurato, moderato e presentabile, un voto lo meriterebbe Lo Russo, che per costruire una campagna aggressiva contro il grillismo di governo (che a Torino ha governato negli ultimi quattro anni come a Roma) ha coraggiosamente rinunciato a cercare una qualsiasi convergenza con il M5s.


Il cinque a zero o lo zero a cinque lo si può costruire così. E lo si potrebbe anche impreziosire offrendo i propri voti al Beppe Sala di Trieste (l’imprenditore Roberto Dipiazza, sindaco uscente di centrodestra) e al candidato di centrodestra alla regione Calabria Roberto Occhiuto (parlamentare di Forza Italia, la cui vittoria aiuterebbe a dimostrare che il centrodestra vincente è quello che scommette più sulla moderazione che sull’estremismo). Si vota sulle città, certo. Si vota sulle amministrazioni, ovvio. Si vota sui programmi, chiaro. Ma dare una sonora lezione a Salvini e Meloni, mettendo in luce l’incapacità dei due attuali pivot del centrodestra di creare una classe dirigente presentabile, moderata, competente e con la testa sulle spalle, alla lunga potrebbe essere un risultato auspicabile anche per tutti gli elettori che si augurano di avere un giorno non remoto un centrodestra un po’ più simile a Draghi e un po’ meno simile a Salvini e Meloni. Cinque a zero e non se ne parli più.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.