Itinerario elettorale

Milano è il capolinea della destra. Si ragiona già del dopo-dopo Sala

Ferruccio de Bortoli: “La destra ha scelto candidati improbabili. È così che pensa di guidare il dopo Draghi?”

Carmelo Caruso

Il racconto di una città offesa dalla scelta di Luca Bernardo “il pistolero pistola”. La resa del centrodestra: incapace di governare Milano e dunque il paese.

Perché continuate a chiamarla crisi? Si chiama impreparazione. Si dice incapacità. A Milano la destra si è arresa. A Milano, la destra ha offeso Milano. Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi non hanno scelto un candidato sindaco ma hanno trovato un tontolone, un Enrico Michetti meneghino, ma senza la simpatia di Michetti, senza la sua Gazzetta amministrativa e il suo latino al guanciale.

   

Chi si candida davvero a governare un paese non avrebbe infatti mai indicato il “signore e signori, ecco Luca Bernardo”, di professione pediatra, che qui in città definiscono “lo sbertucciato”, il “pistolero un po’ pistola”, il “tanghero del Duomo”. La cosa migliore che si pensa di questo medico, e lo pensa chi deve votare per lui domenica 4 ottobre, è che “la sua missione è perdere contro Giuseppe Sala. E questo lo sa fare benissimo”.

    

Ha minacciato il ritiro perché i partiti non gli avrebbero dato abbastanza denaro per la sua campagna elettorale. Ha negato di portare la pistola sotto il camice salvo poi fare l’elogio della fondina come Clint Eastwood ma senza la sua ruga. Sorride sempre come il pugile di Dino Risi che ripeteva “So’ contento” mentre lo suonavano di pugni e di schiaffi. Si è fatto dire da Vittorio Feltri, candidato capolista di FdI, che è un candidato “lasciamo perdere” e la coalizione che lo sostiene, “una coalizione del c…”. Può Milano accettare tutto questo?

   

Un milione e mezzo di abitanti, nove municipi, oltre 250 mila studenti universitari, una città dove la mortalità a causa del Covid è salita del 33,6 per cento, fatturati alberghieri che nel 2020 (dati di Assolombarda) sono calati del 40,6 per cento, i consumi di abbigliamento sotto del 42,5 per cento. Milano dopo la pandemia è come se fosse una città con la pressione bassa. È più lento il cassiere che, alla stazione Centrale, prende gli spiccioli del caffè con una smorfia e chissà quali ricordi. E’ più lento l’ingegnere che al supermercato di piazza Argentina fa la spesa senza fretta. Stefano Boeri, che a Milano è il vero “soprasindaco”, l’uomo che accompagna la città nella modernità, il presidente della Triennale, il rifugio di tutti gli uomini di genio, la chiama “compostezza”.

   

È vero che è tornato il Salone del mobile e pure la Settimana della moda, che è sempre la sagra dei tassisti. E però, anche questi grandi eventi, pil e spritz, sono adesso più composti. Boeri ritiene che si tratti di una specie di malinconia che guarirà sicuramente ma con il tempo. Parla di “un necessario ripensamento dell’identità”. Dice che Milano deve capire e domandarsi: bastano i grandi eventi?

 

In questa campagna elettorale è mancata la prossima Milano che tutti sono certi sarà il sindaco uscente ma rientrante a dover preparare. Sta infatti accadendo qualcosa che va oltre la testa dei milanesi e che riguarda la Francia, la Germania, riguarda un continente e la sua geografia. Con la Brexit, il triangolo Londra-Parigi-Berlino ha perso un vertice. In Europa si sta verificando uno spostamento verso sud. Verso Milano. I prezzi sul mercato immobiliare in città stanno salendo. La domanda è alta. Un appartamento di 70 metri quadrati, in viale Abruzzi, viene oggi valutato fino 550 mila euro. Serviranno nuovi alloggi per studenti che crescono e che sono la spezia della città. Oggi le università a Milano sono ben nove.

 

Durante un incontro con gli imprenditori di Ance e i costruttori edili di Milano, Lodi, Monza e Brianza, Bernardo ha denunciato una sorta di grande cartello, il potere-potere forte. Ha detto che Milano non può essere “lasciata nelle mani di due costruttori e un architetto”. Si riferiva a Boeri che proprio in questi giorni ha un nuovo progetto, “Bosconavigli”, un altro dei suoi “boschi” architettonici questa volta orizzontale, un’area riqualificata di otto mila metri quadrati che si affaccia sul naviglio grande con 170 alberi, ottomila mila arbusti, oltre 60 specie vegetali diverse. Anche questo nuovo spazio rientra nell’iniziativa ForestaMi, l’idea che non è da gentiluomini pensionati (radical chic o radical choc?) di piantare a Milano 3 milioni di nuovi alberi entro il 2030. E’ la sfida che gli urbanisti dicono sia la sfida dell’aria buona.

 

Chi ha un rapporto speciale con questa città cammina e pensa, passeggia e respira lungo i sentieri dei giardini Indro Montanelli, si ferma e legge di fronte a Palazzo Dugnani con la sua fontana del Balzaretto. I milanesi amano la bicicletta come la ama Sala, quella bicicletta che invece detesta la destra che evidentemente non legge Alberto Savinio e non ascolta Paolo Conte e la sua “silenziosa velocità”.

 

La prima uscita che si ricorda di Bernardo è stata la sua invettiva contro la pista ciclabile di corso Buenos Aires, la retta che da Loreto porta a San Babila e dunque a via Montenapoleone dove i francesi di Hermès hanno realizzato il loro investimento più importante in Europa. A luglio hanno aperto una nuova boutique che come dimensione è seconda solo a quella di Parigi. A Roma si può forse perdonare la candidatura folklore ma qui è il segnale della svogliatezza. Ferruccio de Bortoli, che per i milanesi è il direttore emerito del Corriere della Sera, definisce questa campagna elettorale una campagna “svogliata”. Nel momento più difficile, quando Milano venne attaccata dal Covid e denigrata da chi la scoprì disarmata e impotente, le parole di De Bortoli, che parlò di sentimento antilombardo, furono più di un ristoro. Oggi, pure lui, si chiede: “Come può la destra pensare di governare il paese se non riesce a esprimere due candidati sindaci della sua classe dirigente?”. Milano è la pistola fumante dell’inadeguatezza sovranista.

 

Dice sempre De Bortoli, e lo dice con generosità, che la destra ha scelto “candidati improbabili. Sala ha un’autostrada davanti e non è qualcosa di cui essere contenti”. Ai milanesi piace infatti la competizione, la concorrenza. Di Sala, anche chi ha un giudizio negativo, riconosce che “è un uomo che non ha fatto danni”. E’ un concetto di Mario Draghi: “Un governo che non fa danni è già tanto”. Milano, è questo che la destra non ha compreso, è stata la capitale della catastrofe. Di notte c’è chi ancora sogna e sente le sirene delle ambulanze. Nel 1946, Milano inaugurava La Scala. Nel 1947, grazie a due “immigrati” come Giorgio Strehler e Paolo Grassi, apriva il suo teatro “Piccolo”. Sindaco diventava Antonio Greppi che era anche un commediografo. La cultura, l’arte, non è vero che guariscono l’anima. Fanno qualcosa di meglio. Nascondono i guasti del tempo, li coprono come può la sabbia coprire le schegge di vetro. Sembra tutto morbido ma sotto ci sono ancora i cocci di bottiglia.

 

La destra avrebbe dovuto scegliere un campione e non un campione di gaffe che per Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, sono l’unica cosa buona di Bernardo: “Ora, dopo le gaffe, sanno tutti che Bernardo è il candidato”. Gli è sembrata una frase così intelligente tanto che ieri il “tontolone della Madunina” l’ha rivendicata: “Faccio gaffe a tavolino”.

 

Sono già da collezione i “per carità, non votatelo” pronunciati dalla destra alla destra. La frase di Feltri ha fatto epoca. Giorgetti che è più sottile ha sentenziato: “Vince Sala al primo turno”. Gabriele Albertini ha anticipato “che è una sconfitta annunciata”. Il candidato sindaco della destra a Torino, Paolo Damilano, ha spiegato come funziona il mondo: “Non me ne voglia Bernardo, ma se dovesse vincere Sala… Lui è un manager, quando parliamo non c’è bisogno di spiegarci”. Luigi Amicone, che è stato direttore di Tempi, ha detto al Foglio che la gente è sconcertata: “Si poteva vincere a mani basse, ma si va verso una sconfitta a mani alzate”. Sergio Scalpelli, un pezzo della storia culturale di Milano e dell’editoria guascona, già assessore nella giunta Albertini, ha chiesto “ai carissimi amici di Forza Italia” di votare Sala.

 

Davvero non era possibile trovare nulla di meglio rispetto “al pistolero pistola”? Salvini ha corteggiato per mesi Albertini che non ha ceduto. Si era ragionato su Maurizio Lupi. Si era perfino ripensato a Letizia Moratti. Spiega Alessandro Sallusti, il direttore di Libero, il direttore che sta combattendo i No vax, che la destra a Milano non è altro che la destra con due soci di maggioranza: “Salvini e Meloni vogliono entrambi essere soci di maggioranza. Ma non funziona. Anche gli autobus devono essere guidati da un conducente e non da due”. Salvini, che ormai è un animale ferito e con il suo guru Luca Morisi precipitato nella caverna dei suoi fantasmi, fragilità e stupefacenti, ha deciso di non candidarsi come consigliere bandiera, portatore d’acqua. Hanno detto che avesse paura di Feltri che potrebbe fare il pieno non tanto di preferenze, ma di affetto milanese. In verità, già alle scorse amministrative, Salvini era stato superato da Mariastella Gelmini. L’unica classe dirigente sembra averla Forza Italia, ma è sotto attacco. E’ attaccata dalla Lega. Si dice un gran bene del candidato consigliere, Marco Bestetti, vicino alla Gelmini, che era presidente del municipio sette (zona Baggio, San Siro) e che per alcuni sarebbe stato sicuramente più affidabile di Bernardo. Altro candidato al comune è Gianluca Comazzi, che è stato il consigliere più votato del centrodestra in regione e che si trascina tutta la fascia degli animalisti. La Lega non candida neppure il vecchio direttore di Radio Padania, Alessandro Morelli, oggi sottosegretario alle Infrastrutture. La scorsa settimana, Salvini ha portato via a FI Alessandro Fermi che è presidente del Consiglio regionale.

 

L’uomo forte della sua lista è il “Gianma”, Gianmarco Senna, amico storico del capo ma adesso sempre più vicino a Giorgetti. C’è chi racconta che se Salvini avesse davvero fatto il Salvini avrebbe puntato sull’europarlamentare Silvia Sardone. Il marito è sindaco di Sesto San Giovanni, Roberto Di Stefano, ed è un altro anti Bernardo: “E’ una brava persona ma non sa gestire la campagna elettorale”. Non potendo vincere le elezioni, l’ambizione della destra, a Milano, è misurarsi con le liste. Fanno le primarie. Giorgia Meloni, lo scorso sabato ha scippato piazza Duomo a Salvini ed è stata capace di riempirla. A Milano vanta la vecchia “fiamma” tricolore: De Corato lo “zio fanfara”, il deputato Marco Osnato, i fratelli La Russa e il coordinatore Stefano Maullu. Oggi i circoli di FdI in città sono 50.

 

Ma di tutto questo a Sala cosa importa? Non deve fare nulla. E’ riuscito a intercettare la Milano “martiniana” e ci si riferisce alla Milano che rimane legata al magistero del cardinale Carlo Maria Martini. Il presidente delle Acli, Paolo Petracca, corre con lui. Si porta dietro il mondo delle Caritas, quel terzo settore che, come dice De Bortoli, è la vera forza di Milano. A sinistra, solo per dire, è già partito il dopo-dopo Sala. I candidati sono l’europarlamentare del Pd Pierfrancesco Majorino e l’assessore all’Urbanistica, Piefrancesco Maran, i “Pier” del progressismo alla milanese. Se ne riparlerà fra cinque anni.

 

Cosa non ha capito la destra? Quello che uno scrittore finissimo, l’uomo che per vent’anni ha curato la narrativa della Feltrinelli e oggi quella della Mondadori, sintetizza così: “Milano non sopporta di vedere minacciosi abissi di incompetenza”. Si chiama Alberto Rollo e ha scritto uno dei libri più densi su questa città, “Un’educazione milanese” (Manni). Da scrittore divide la Milano in meneghina e metropolitana e canta l’ode di quella metropolitana, la città del ferro, quella che produce, quella che ha sempre avuto una sola urgenza: disegnare la città del benessere. Dice che la malattia ha isolato e diviso e che però, nella malattia, Milano è tornata a leggere.

 

Le librerie indipendenti, come la storica “Centofiori” di piazzale Dateo ha registrato numeri da grande balzo in avanti. Chissà se un giorno uno scrittore milanese riuscirà a scrivere il grande libro su questa nostra sciagura. Chissà. A Milano non interessa il colore “dell’amministrazione”, ma come pensa ancora Rollo, qui al sindaco viene chiesto di “sapere stare dentro le cose”. Non è sentimento da area C. Anche la periferia è troppo occupata a trovare un senso. Chi è contro Sala al massimo non andrà a votare. Da Milano si può partire. La stazione sta tornando lentamente la stazione porto d’Italia. E’ stato aperto anche il “mercato centrale” che era l’unica cosa che Milano invidiava a Roma. Come è tenera adesso, Milano. Somiglia alla Mosca delle “Tre sorelle” di Cechov. Una città dove può nuovamente accadere qualcosa e non più piangere qualcuno. Come nelle “Tre sorelle”: “A Milano, a Milano!”.

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio