Sulla giustizia scontenta il M5s, sulla Rai Salvini. Così Draghi "surfa" tra gli opposti mugugni

Valerio Valentini

Il rischio calcolato sulla rabbia grillina: "Potrete fare correttivi tecnici, ma niente riserve mentali". La svolta su Viale Mazzini che fa infuriare gli uomini di Salvini. Il viceministro Morelli: "Sì, Fuortes è un uomo di sinistra". Così il premier non rallenta la marcia sulle riforme

Dicono che appena sciolta la seduta, al termine di un Cdm tribolato che tutti erano lieti di lasciarsi alle spalle, alle nove di sera, giovedì, Mario Draghi abbia avvicinato i suoi collaboratori per avere la conferma: “Sulla Rai è tutto pronto, vero?”. Perché se è vero com’è vero che ogni giorno ha la sua pena, a Palazzo Chigi, allora tutto sta, per il premier, a ripartire quella pena in parti uguali tra le opposte ali estreme della sua maggioranza. “Surfa sull’onda di un mare agitato”, sorride un ministro del Pd. E così, dopo aver mandato in fibrillazione il M5s sulla giustizia, ieri Draghi ha  scontentato Matteo Salvini sulle nomine di Viale Mazzini.

 

Perché la scelta di Carlo Fuortes come nuovo amministratore delegato della Rai per il leader leghista è un pugno di sabbia negli occhi. Per primi sobbalzano i deputati veronesi, ricordando di quando il manager romano venne mandato da Franceschini a sventare la liquidazione della Fondazione dell’Arena disposta dall’allora sindaco Tosi. E tanto basta perché Alessandro Morelli, fedelissimo di Salvini e viceministro dei Trasporti, aizzi le truppe: “Sì, è un personaggio di sinistra voluto da Draghi”. Ma al di là delle scelte di merito, ciò che il leader della Lega contesta sempre più spesso, coi suoi confidenti, è il metodo del premier. “Condivide poco,  e soprattutto non coinvolge Matteo”, sbuffano gli uomini del capitano (ignari, forse, che l’unico a essere stato informato dal premier sulla Rai era il ministro competente Daniele Franco). 
La verità è però che Draghi sceglie in ogni schieramento il suo interlocutore privilegiato: quello di cui si fida di più. E nella Lega è Giancarlo Giorgetti, il suo punto di riferimento. Così come  tra i grillini è senz’altro Luigi Di Maio quello che il premier ha eletto a dirimpettaio. Al punto che perfino quando c’è da ridefinire gli assetti di vertice dei Carabinieri forestali si confronta col ministro degli Esteri prima ancora che col diretto responsabile, Stefano Patuanelli.

 

Dinamiche che in fondo si sono riprodotte anche giovedì. Quando, cioè, l capo delegazione del M5s ha riproposto lo spauracchio che sempre, in passato, valeva a difendere gli incapricciamenti grillini: “I nostri in Parlamento non tengono”. Draghi ha inchiodato invece i ministri del M5s al loro impegno, e ha preferito concedere loro la possibilità di presentare dei subemendamenti al dossier che Marta Cartabia invierà alla Camera per la riforma del processo penale. E’ stata quella, più che i tecnicismi sulla proroga dei tempi di prescrizioni per i reati contro la Pa, la vera mediazione offerta. Un rischio calcolato, insomma.

 

E siccome è sempre nel bilanciamento degli opposti mugugni che il premier trova trova il suo equilibrio, quando Renato Brunetta ha preteso a sua volta un chiarimento dal premier, ripetendo poi le stesse esatte parole pronunciate da Patuanelli in dichiarazione di voto (“Ci riserviamo di apportare modifiche tecniche in sede parlamentare”), Draghi ha sorriso come chi sa che il gioco sta riuscendo. Perché a quel punto, forte del fatto che nessuno sembrava davvero più contento degli altri, ci ha tenuto a precisare: “D’accordo, ma una cosa sono i correttivi tecnici, altra le riserve mentali”.  Lì ha chiesto il voto all’unanimità dei suoi ministri. E lì, in definitiva, ha vincolato tutte le forze politiche al rispetto sostanziale della riforma delineata da Via Arenula. Tanto che poi i ministri del Pd, incrociando quelli di Forza Italia, si sono ritrovati a convenire che sì, “si discuterà un po’ sui subemendamenti, poi si metterà la fiducia e saranno tutti richiamati all’ordine”. Ma prima di allora passeranno settimane. Serviranno tre mesi prima che l’Aula del Senato, la più tribolata dalle convulsioni grilline, dovrà esprimersi sulla prescrizione. E fino ad allora ci saranno molte altre riforme da approvare, altri mugugni da bilanciare.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.