Presentazione dei sei quesiti referendari sulla giustizia a Roma, 1 giugno 2021 (foto Ansa) 

il dibattito a sinistra

"I referendum sulla giustizia dei Radicali? Il Pd ne discuta"

Luca Roberto

Le proposte degli eredi di Pannella e lo scetticismo dem: “Ma non ostacolano il lavoro di governo e Parlamento”. Parlano Salvati, Finocchiaro e Segni

Al Pd conviene davvero far finta di nulla, di fronte ai referendum sulla giustizia promossi dai Radicali? Goffredo Bettini ha gettato il sasso nello stagno, chiedendo al campo progressista di riappropriarsi di quelle battaglie. La reazione, al più, è stata tiepida. La tesi è la seguente: perché entrare in competizione con la più completa riforma del ministro Cartabia? Meglio, nel caso, trasferire l’operazione sartoriale nelle mani del Parlamento. Così sostiene Enrico Letta. E però nell’alveo democratico, non c’è completa omologazione di pensiero. L’economista Michele Salvati, tra i fondatori del Pd, al Foglio dice: “Per la mia storia garantista non avrei problemi a sostenere i quesiti referendari. Si rischia di mettere in difficoltà il governo Draghi e la sua riforma della giustizia? Mi auguro di no, anche perché credo che si possa riuscire a far viaggiare i due interventi in parallelo. Non vorrei si innescasse una discussione in cui il Pd è tendenzialmente ostile. E poi l’idea che lo strumento serva a far passare Salvini per garantista fa sorridere”.

 

Anche se si interroga Mario Segni, parlamentare di lungo corso e promotore, nel 1991, del referendum con cui si introdusse un correttivo maggioritario alla legge elettorale di allora, si raccoglie un ragionamento dello stesso segno. “In un mondo intricato e in gran parte irrisolvibile come quello della giustizia italiana, i referendum sono un fatto positivo, perché servono a smuovere le acque. Ecco perché l’iniziativa dei Radicali va raccolta con favore”, spiega Segni. “Credo che sia logico, per un partito come il Pd che si dichiara riformatore, appoggiare almeno una parte dei quesiti. Non c’è ragione perché non lo faccia. Anche il miglior Parlamento ha bisogno di una spinta, soprattutto su un tema così divisivo”.

Condivide la questione di merito posta da Bettini, e cioè che la separazione delle carriere tra giudici e pm per la sinistra non può continuare a essere considerata un tabù? Segni ci risponde che “non c’è nessun tabù, a patto ovviamente di salvaguardare l’autonomia del potere giudiziario. Se guardiamo all’attualità, la priorità è una riforma del Csm, che ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza. E’ ovvio che il combinato disposto tra riforma Cartabia e referendum non potrà sciogliere tutti i nodi e in tempi brevi, ma può aiutare a trovare più facilmente dei punti di equilibrio”. Andiamo avanti nell’indagine rivolgendoci a un altro autorevole esponente di sinistra. Anna Finocchiaro, ex ministro per le Pari opportunità e per i rapporti con il Parlamento, lo confessa subito: “Io non voterò i quesiti referendari, ma credo che ai Radicali vada dato il merito di aver posto una discussione sul tema. Lo fanno da più di trent’anni. Non credo che si debba aver paura dello strumento referendario, ma che anzi possa andare di pari passo con la riforma Cartabia, che, mi lasci dire, contiene proposte ottime, soprattutto sul processo penale”.

Ha senso rifugiarsi nella sacralità della discussione parlamentare? “Io credo che il vantaggio di questi referendum potrebbe essere aprire un dibattito pubblico che aiuti a ritrovare un punto di equilibrio dopo anni di schizofrenia. Temo però che per Salvini sia altro. Sulla separazione delle carriere personalmente non sono d’accordo e credo che nella limitazione della carcerazione preventiva non si debba assecondare di volta in volta l’umoralità del momento. Ma perché non se ne può parlare?”.
 

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