Da Bonafede a Cartabia, la discontinuità del governo Draghi sulla giustizia

Luciano Capone

Prescrizione, durata del processo, risarcimenti, misure extradetentive. La relazione della Commissione sul processo penale ribalta il punitivismo dei due governi Conte

Se c’è un tema sul quale la discontinuità del governo Draghi è più evidente, quello è la giustizia. E’ vero che il ministro della Giustizia Marta Cartabia parte dalla riforma Bonafede, quella ideata dal Guardasigilli dei due governi Conte, ma per ribaltarla. Non a caso è la riforma che più di tutte solleva i malumori del M5s. Il rovesciamento dell’impostazione punitivista di Alfonso Bonafede è evidente dal contenuto della relazione finale della Commissione per la riforma del processo penale al cui vertice la Cartabia ha nominato l’ex presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi, affiancato da affermati accademici, magistrati e avvocati.

 

 

Il punto politicamente più delicato e divisivo è, ovviamente, quello della prescrizione. La Commissione parte da una premessa: “Lentezza del processo e prescrizione del reato sono due problemi diversi, che si alimentano reciprocamente. Processi lenti favoriscono la prescrizione, la prospettiva della prescrizione favorisce processi lenti”. E i dati sui tempi della giustizia italiana sono desolanti: secondo l’ultimo report della Commissione per l’efficienza della giustizia (Cepej), istituita presso il Consiglio d’Europa, la durata media di un processo di primo grado in Italia è tre volte superiore alla media europea; mentre per il giudizio di appello la durata media è addirittura otto volte superiore. La soluzione proposta da Bonafede per spezzare questo circolo vizioso che lede da un lato i diritti dell’imputato e dall’altro la domanda di giustizia delle vittime è la sostanziale abolizione della prescrizione, nella convinzione che sia la stessa esistenza di questo istituto a far allungare i tempi. Senza la “scappatoia” della prescrizione, è l’idea di fondo, i processi diventano brevi.

 

La Commissione ribalta, invece, questa prospettiva e indica la prescrizione come un istituto necessario per impedire un “processo di durata irragionevole”: l’intervento è necessario perché la riforma Bonafede espone al rischio di un “processo ‘senza fine’ dopo la sentenza di primo grado”. La commissione propone due soluzioni, tra loro concettualmente molto diverse, ma che in entrambi i casi sono una sostanziale abrogazione della riforma Bonfede. La prima ipotesi di “sospensione condizionata” prevede una sospensione della prescrizione di due anni dopo la condanna in primo grado e di un anno dopo la condanna di appello, ma la prescrizione riprende il suo corso e il periodo di sospensione viene conteggiato se in questo arco di tempo non arrivano le rispettive sentenze. E’ un sostanziale ritorno alla riforma Orlando, che prevede anche il conteggio del periodo di sospensione se non si arriva a sentenza nei tempi. La seconda ipotesi, invece, abolisce completamente la prescrizione quando inizia il processo, ma indica dei termini di durata massima che scandiscono le diverse fasi di giudizio: 4 anni per il primo grado, 3 per l’appello, 2 per la Cassazione. Il superamento di questi termini diventa causa di “improcedibilità”. La logica giuridica si discosta radicalmente dall’istituto della prescrizione, ma sul piano sostanziale si persegue lo stesso obiettivo.

 

 

Sempre nell’ambito dell’irragionevole durata del processo penale, la Commissione ricorda che “nelle statistiche della Corte europea dei diritti dell’uomo l’Italia occupa, in modo imbarazzante, il primo posto tra i paesi con il maggior numero di violazioni e di condanne per irragionevole durata del processo” e pertanto suggerisce l’introduzione di compensazioni e risarcimenti per l’irragionevole durata del processo, ulteriori rispetto a quelli previsti ora dalla legge Pinto: in caso di condanna si prevede una riduzione della pena da espiare (in quanto l’eccessiva durata è di per sé una “pena” o comunque una lesione dei diritti); in caso di assoluzione, invece, si prevede di raddoppiare l’indennizzo previsto dalla legge Pinto. Altri punti importanti della relazione riguardano l’inappellabilità delle sentenze di primo grado da parte del Pm (potrà ricorrere solo in Cassazione, mentre l’imputato anche in Appello); l’ampliamento delle misure riparatorie e delle sanzioni in sostituzione delle pene detentive.

 

In generale è evidente un’impostazione meno punitivista, più rispettosa dei diritti e delle garanzie individuali. D’altronde i percorsi politici e professionali di Cartabia e Bonafede mostrano sensibilità giuridiche molto differenti.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali