Il racconto

Riformisti con Cartabia o referendari con i Radicali? Viaggio nella "giustizia" del Pd

Il "lodo" Bettini, la sfida dei Radicali. Il Pd con chi sta? Letta: "Avanti in Parlamento"

Carmelo Caruso

La richiesta di Bettini e Uggetti di firmare i referendum radicali. La volontà del Pd di riformare la giustizia, ma seguendo il percorso in aula. Un girotondo di voci dem. L'insidia: si può lasciare Pannella a Salvini?

“Perché firmo i referendum dei radicali sulla giustizia? Perché non lascio quel patrimonio che si chiama Marco Pannella a Matteo Salvini. Perché i referendum non sono alternativi alla riforma coraggiosa di Marta Cartabia. Perché cosa c’è di più avvincente di un referendum?”. Lo dice Enza Bruno Bossio. E’ una parlamentare del Pd. Il partito non la pensa come lei. “E cosa importa? Non c’è forse più gusto a fare questa battaglia?”. Dunque è vero che il Pd, quando ci si mette, rimane ancora il partito della ragione faticosa e della sorpresa stimolante? Due inviti. Entrambi sono apparsi ieri sul Foglio. Il primo. Simone Uggetti, ex sindaco di Lodi: “I referendum Radicali perché no? La mia esperienza spero che insegni qualcosa al Pd”. L’altro. Goffredo Bettini: “Con una scelta che impegna altro che me stesso, non posso rimanere indifferente rispetto ai quesiti referendari Radicali”. Sono i referendum che ha firmato Matteo Salvini, ma non è proprio per questo che bisognerebbe dirgli: “Giù le mani! Non eri tu che straparlavi di carcere?”. Ci sarebbe da discutere sulla parola. Oggi sono più “radicali” i referendum o è più “radicale” la riforma della ministra Marta Cartabia. Perché il Pd preferisce non firmare? Perché Anna Rossomando, che è la responsabile Giustizia, assicura che “la riforma Cartabia è ambiziosissima, arriverà prima dell’estate, e che gli esiti si vedranno ben prima degli effetti di un referendum che, voglio ricordare, deve essere valutato dalla Consulta. Un referendum che, tra le altre cose, rimane abrogativo. Noi crediamo nella nostra ministra. Ma Salvini ci crede?


Quanto è importante questo parlare della giustizia? Tantissimo. Dice sempre la “signora diritto” del Pd: “I cambiamenti che ci servono li otterremo con questa riforma che è sicuramente meno confusa dei quesiti referendari. Si introducono valutazioni sulla professionalità dei magistrati, si riforma, e davvero il Csm”. E ha ragione quando aggiunge che nella lettera di Bettini, a vederla bene, c’è molto di più: “Io, ad esempio, condivido la prima parte. L’invito a discutere di garanzie, a ragionare su questi vent’anni velenosi”. Vuole ricordare insomma che questa Lega, fase Voltaire, è una simpatica novità e che vederla passata “dall’agitare il cappio al firmare referendum garantisti non può che rallegrare tutti. Io tuttavia non dimentico la Lega del ‘marcire in galera’. Diciamo che la buona volontà la guardo sempre con benevolenza. A Salvini però rivolgo una domanda: è sicuro di aver letto bene cosa ha firmato?”.

 

Cosa fare quindi del “lodo Bettini”? Alfredo Bazoli, altro esperto di codici e giustizia Pd: “Con la sua proposta rischiamo di apparire subalterni a Salvini. Mi sembra che adesso sia scattata una corsa a chi è più garantista. Alcuni quesiti li condivido ma altri no”. Walter Verini, tesoriere saggio: “Quando Salvini si presenta in Cassazione cosa fa se non intestarseli? Questi sono referendum a marchio Salvini. Se c’è l’impegno a riformare la giustizia in Parlamento perché agitare la battaglia referendaria? Con la Cartabia la rivoluzione può essere copernicana”. Anche il segretario Enrico Letta ha meditato sulla proposta di Bettini e le ha dato il peso che meritava: l’invito nobile di uomo di intuizioni. Ma quello che pensa Letta è chiarissimo: “Avanti sulla riforma Cartabia, percorso ordinario. E sul garantismo non prendo lezioni da nessuno. Non ho mai utilizzato la frase ‘giustizia a orologeria’ ”. Parlando ad alta voce ha raccontato che quella espressione che, negli ultimi giorni, tanto ha fatto sorridere (“impunitisti”) era del suo Beniamino Andreatta. Avrebbe detto anche che tutti quelli, e si riferiva a Italia Viva, che sono oggi garantisti di platino non lo sono stati nel consentire il passo indietro, nell’ordine, dei ministri Guidi, Cancelleri, Idem, Lupi. E’ per questo che il segretario del Pd ha voluto incontrare personalmente Uggetti per portargli le scuse di tutta la comunità, “scuse che prescindono dal referendum”. Attenzione, non è corretto dire che è paura del referendum.

 

Stefano Ceccanti “valuterà attentamente il testo finale di ciascun quesito, ma il punto fermo rimane il sostegno all’azione della ministra Cartabia”. Valeria Fedeli, ex ministra dell’Istruzione e senatrice Pd, è convinta che “chi sta in Parlamento, e condivide i quesiti referendari si deve impegnare a fare qui e ora le riforme”. Dario Stefano, altro importante democratico, precisa: “Per prima cosa restituiamo ai radicali quello che è dei radicali. Il referendum lo hanno promosso loro ed è uno strumento che serve a spronare il Parlamento. Ma una riforma c’è, l’impianto pure. Dunque avanti tutta”. Salvatore Margiotta, ex sottosegretario: “Non mi scandalizza il referendum, ma lo immagino come ultima risorsa”. Dovrebbe invece scandalizzare il matrimonio fra Pannella e Salvini. Andrea Marcucci non lo capisce. “Io ricordo quando la Lega esibiva i cappi in Parlamento. Decenni di politica forcaiola e giustizialista. Ed è per questo che non voglio farmi condizionare dall’appoggio strumentale di Salvini sui miei temi. Vediamo allora i tempi, modi e accordi della riforma parlamentare. I referendum Radicali possono però essere certamente un mezzo utile”.

Come si vede c’è in corso uno straordinario seminario sulla giustizia. Sta scuotendo sul serio un mondo che troppo spesso ha lasciato ad altri lo stato di diritto. Ieri, Enrico Rossi, l’ex presidente della Toscana, in una sincera intervista all’ Huffpost, ha usato parole importanti: “Usciamo dalla fase del giustizialismo e populismo. Ha ragione Bettini”. Potrebbe anche avere ragione l’indomabile Bruno Bossio: “Salvini fa il Radicale? Io lo faccio di più. Raccoglierò le firme, farò banchetti. E dopo la giustizia mi riprendo anche il tema del ponte sullo Stretto. Imitiamolo, ma meglio. Su una cosa la penso come lui. Di lotta e di governo. Che male faccio?”.

 

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  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio