Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Perché Salvini e Meloni avrebbero molto da guadagnare candidandosi a Milano e Roma

Giuliano Ferrara

Sarebbe una solare battaglia nei loro nidi politici e urbani, che li rafforzerebbe anche nei loro ruoli nazionali. Invece no, comizi, comizi, talk-show, e ancora comizi

Non ho capito perché Salvini e Meloni non si candidano a sindaco di Milano e di Roma. Per non parlare di Zingaretti, che mi pare ovvio e meritato. In passato avevo auspicato, e sarebbe ancora lì a 84 anni, padrone in casa sua, che il sindaco di Milano lo facesse il Cav. in persona. L’Avvocato mi telefonò per perorare la causa, “la prego, Ferrara, insista, così Berlusconi ci mette tutti di buonumore, e mi raccomando l’avvocato Rossi, sia più gentile con lui”. Noi uomini di mondo, modestamente vabbè, pensiamo che fare il sindaco di una grande città, o anche di una media o piccola città, sia una prova del nove per un uomo politico, per uno che intraprende la carriera di uomo di stato. Invece stanno sempre a fare comizi, Zingaretti escluso, uno che non ha mai pensato di cedere la presidenza del Lazio, anche quando faceva il segretario del Pd o la campagna delle primarie. E con quali risultati si è visto nella campagna vaccinale.

 

Il perché, suvvia, è chiarissimo. Se vai magari al Viminale e poi balli seminudo su una spiaggia, emetti circolari da balera contro gli immigrati, agiti il manganello cambiando felpe in continuazione, non dai alcuna testimonianza di predisposizione al governo del paese. Se straparli continuamente in tv, dai la caccia ai voti tirando il sasso ma poi all’atto pratico nascondendo la mano dietro a un candidato di facciata per il governo di una megalopoli che è anche la Capitale del paese, bè non ti legittimi davvero per un ruolo nazionale in un esecutivo, che è l’ambizione delle ambizioni. Per i francesi essere sindaco, M. le Maire, è come una precondizione per divenire ministro, primo ministro e anche président, salvo Macron che è uscito fuori con un suo modello di riformismo all’europea e con un partito liberaleggiante costruito di bel nuovo, afferrando l’occasione a sorpresa. Tra l’altro lì non ci sono particolari incompatibilità tra mandati, e la trovo una cosa giusta e sacrosanta.

 

Dice: ma non c’è tempo e modo di fare due mestieri come il leader nazionale e il sindaco. Non è vero, a parte il caso esemplare di Zingaretti. Esistono i city manager, che servono apposta per modernizzare e snellire le pubbliche amministrazioni, per realizzare le politiche amministrative acconce, per sbrogliare con lo staff la matassa del quotidiano, e tu sindaco-leader hai tutto il tempo e il modo di svolgere degnamente un doppio ruolo, rafforzandoli entrambi. La legittimazione che proviene da una vera elezione popolare diretta, poi, non è trascurabile. Non è localismo, certo non lo è governare le grandi metropoli o aree metropolitane.

 

(Il caso di Formigoni per me resta inspiegabile. Non ha mai potuto o saputo diventare un uomo politico nazionale, malgrado oltre due decenni di governo dell’Italia più ricca e produttiva, e alla fine è stato coinvolto in tristezze amministrative e giudiziarie senza meritare tutto quel patibolo cui fu sottoposto, a mio insindacabile giudizio. Era come una specie di Franz Josef Strauss, il leggendario capo della Baviera per oltre dieci anni, e Formigoni ha più che doppiato quella durata al potere in Lombardia, la nostra Baviera. Ora Strauss era stato alle Finanze, alla Difesa, era un capo politico dei conservatori duri e puri, un giovanotto ex nazista riciclato da Konrad Adenuaer e promosso dalla politica a ideologo del federalismo costituzionale tedesco e di molto altro. Tutto quello che volete, ma il governatorato della Baviera fu il suo vero trofeo in Europa, il trampolino di lancio per una candidatura fallita contro Helmut Schmidt, e fu un fatale leader tedesco, cattolico, che rassegnò le dimissioni solo morendo per un attacco cardiaco a 73 anni. Si può essere, voglio dire, dei giganti partendo da posizioni di amministrazione e potere a dimensione non nazionale).

 

Sia Salvini che Meloni avrebbero tutto da guadagnare da una solare battaglia nei loro nidi politici e urbani, per ottenere qualcosa di sensibile e concreto in nome delle popolazioni amministrate, e ne risulterebbero oltremodo rafforzati anche nei loro ruoli nazionali. Invece no, comizi, comizi, talk-show, e ancora comizi. Boh.

 

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.