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Federalismi confusi

Giacinto della Cananea

Lo stato ha già i poteri per far marciare le regioni. Ecco i controlli che non funzionano

Da vari anni, i poteri delle regioni sono al centro del dibattito politico, ma su basi ben diverse. Dalla controversa riforma del titolo quinto della Costituzione, che nel 2001 ha rafforzato i poteri legislativi delle regioni, fino ai referendum promossi da alcune di esse per ottenere un’autonomia differenziata, ha ottenuto consensi la tesi che lo stato dovesse fare ulteriori passi indietro. Nel frattempo, però, sono emersi seri inconvenienti. E' aumentato il contenzioso sorto tra le regioni e lo stato, su cui la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi: dal 2001 al 2019, ha ricevuto più di 1800 ricorsi, in media un centinaio all’anno, un fardello assai pesante. È cresciuta la consapevolezza del fatto della disparità delle prestazioni sanitarie – un bene quanto mai prezioso – tra il Nord e il Sud del Paese. Un ulteriore mutamento è in corso, dall’annus horribilis 2020: la società italiana è sempre più preoccupata, perché sono state adottate decisioni incoerenti sulle scuole e risultano incomprensibili le diverse priorità stabilite dalle regioni per l’accesso alla vaccinazione.

 

Generano confusione anche le iniziative prese o annunciate da alcuni governanti regionali, quanto all’acquisto dei vaccini. Di qui l’idea, avanzata da più parti, che si debba correggere l’errore commesso nel 2001, tornando ad accentrare le competenze relative alla sanità. In questa idea si annidano – però – due equivoci, che è bene dissipare. Il primo equivoco è che la riforma costituzionale del 2001 abbia alterato il riparto di competenze tra lo stato e le regioni nell’ambito della sanità. Non è così, in realtà, per vari motivi. Anzitutto, è la Costituzione, fin dal 1948, ad aver incluso la sanità tra le materie su cui le quindici regioni a statuto ordinario, oltre a quelle a statuto speciale, potevano legiferare. Esse lo hanno fatto, fin dall’effettivo inizio della loro attività, nel 1970. Infine, al di là dei suoi indubbi difetti di metodo e di merito, la riforma costituzionale del 2001 ha fatto chiarezza quanto meno su un aspetto basilare, riservando allo Stato la legislazione in materia di profilassi internazionale. Lo ha sottolineato la Corte costituzionale nella sentenza (n. 37/2021) con cui ha annullato la legge della Regione Valle d’Aosta che si sovrapponeva indebitamente alle regole nazionali. La sentenza torna utile anche per fare luce sull’altro equivoco, che è alla base delle iniziative regionali volte all’acquisto di vaccini, ossia che esse possano procedere autonomamente. La Corte costituzionale ha infatti precisato che lo Stato dispone d’una competenza esclusiva sia per emanare norme in tema di profilassi, sia per “allocare la relativa funzione amministrativa”. Si deve escludere, quindi, che le regioni possano procedere isolatamente. Le risorse finanziarie di cui dispongono possono essere utilizzate soltanto all’interno d’una cornice unitaria di regole e controlli.

 

Proprio a proposito dei controlli, ci si può chiedere se l’assetto istituzionale italiano sia adeguato. Quando, più di venti anni or sono, furono soppressi i controlli statali sugli atti amministrativi delle regioni e degli enti locali, si stabilì che le une e gli altri si dotassero di controlli interni idonei ad assicurare la legittimità e l’efficienza dell’azione amministrativa. Non tutti lo hanno fatto subito, in alcuni casi i controlli interni sono tuttora deboli. Una conferma viene dalla Corte dei conti. Secondo alcune stime, circa il 60 per cento delle iniziative intraprese dalle procure regionali della Corte hanno ad oggetto le attività e gli atti delle regioni e degli enti locali. Una causa può essere ravvisata, appunto, nella debolezza dei controlli interni. Quindi, vi è più di un motivo per chiedersi, alla luce dell’esperienza recente, se la cornice istituzionale sia acconcia, se sia cioè in grado di dare un contributo alla crescita della nostra economia, in vista delle ingenti risorse finanziarie che l’Ue intende destinare all’Italia. Se i procedimenti amministrativi e i controlli vigenti risultassero in qualche aspetto inadeguati, sarebbero necessarie correzioni, per evitare di dissipare un’opportunità forse irripetibile.

 

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