tra i renziani e i responsabili

L'azzardo di Conte per smontare Italia viva: "Renzi non potrà astenersi per sempre"

Valerio Valentini

Le provocazioni dei premier, la baldanza dei ministri a lui più vicini. Ma dal Pd sono scettici: "Con Iv all'opposizione, rischiamo di andare sotto in ogni momento". La roulette al Senato: 10 commissioni su 14 senza numeri. Zinga chiede il cambio della squadra di governo. Guerini: "Ora facciamo politica"

Mentre la Camera approva la fiducia (321 sì, con la forzista Renata Polverini e quattro ex dissidenti grillini che rafforzano la maggioranza), Lorenzo Guerini, seduto tra gli scranni del suo gruppo, catechizza i suoi parlamentari del Pd: “Intanto superiamo il voto di domani, poi ci aspetta un mese in cui fare politica”, dice il ministro della Difesa. E si capisce allora che la prova del fuoco non sarà tanto quella conta in Aula a Palazzo Madama  (si veleggia tra i 152 e i 158, a seconda che l’allibratore sia dem o grillino), ma le settimane che seguiranno. E quanto sia stretto il sentiero della politica, e quanto scivoloso, lo ha ricordato anche Nicola Zingaretti, che ieri s’è mostrato cauto ed esigente al tempo stesso nel confronto coi suoi senatori. Arrivando a dire che sì, “anche la squadra di governo andrà rivista”

 

Saranno venti giorni di passione. “In cui prima dovremo essere decostruttori, e poi costruttori”, scherzavano, gagliardi, i ministri più fedeli a Giuseppe Conte nei conciliaboli di Transatlantico di ieri. L’idea è infatti quella di utilizzare la crisi che verrà, sempre meno blitzkrieg e sempre più guerra di trincea, per smontare Italia viva per poi trattare con Forza Italia. Anche per questo, nel weekend, a senatori e deputati renziani sono continuate ad arrivare le telefonate dagli emissari del premier, per provare a convincerli ad abbandonare la truppa. “O di qua o di là, tertium non datur”, hanno insistito, ancora ieri, i senatori del Pd coi loro ex colleghi di Iv. Un modo per dire che il machiavello tattico di Renzi, quello dell’astensione, non potrà avere lunga vita. Fosse stato per Conte, l’attendismo del Fiorentino l’avrebbe stanato già in queste ore. E se nel suo discorso alla Camera ha usato contro Iv toni inaspettatamente duri, è stato proprio per provocare Renzi. “Se lo spingiamo a votare contro, allora alcuni dei suoi lo mollerebbero”, dicevano  i consiglieri del premier. Malizia non del tutto infondata, se è vero che Renzi  ha penato a placare le ire di chi, come il senatore Ernesto Magorno, era già pronto alla zuffa: “Se m’astengo è solo per disciplina, perché io a questo punto sarei per votare contro”, è sbottato ieri, prima che il capo richiamasse tutti alla calma: “Non cadiamo nella trappola”. 

 

Giochi spericolati, certo. E non a caso Alan Ferrari, che da segretario d’Aula conosce a memoria i numeri al Senato, i suoi colleghi del Pd ieri li ha avvisati: “Vogliamo fare a meno di Renzi? Ma tenete conto che si rischia in ogni momento di andare sotto. Se Iv condivide l’emendamento sulle partite Iva presentato da Forza Italia, ci salta tutto lo scostamento”. Senza contare che, con Davide Faraone dall’altra parte della barricata, neppure in conferenza dei capigruppo ci sarebbe la maggioranza in Senato. Dieci commissioni su quattordici, da domani mattina,  non avrebbero sulla carta i numeri. Certo, i ministri del Pd, anche quelli più vicini all’ex Rottamatore, capovolgono il discorso: “non è il governo appeso all’astensione Iv, ma è l’integrità Iv che è appesa a non ostilità al governo in questa fase”. Se insomma Renzi decidesse di utilizzare la sua forza d’interdizione, almeno tre o quattro dei suoi senatori più scettici lo abbandonerebbero. Ma si corre, appunto, sul filo dell’azzardo. “E col Pd che finirebbe appiattito sul premier”, sbuffavano ieri i senatori dem Andrea Ferrazzi e Stefano Collina

 

Tanto più che Conte tiene coperte le sue carte anche al Nazareno. Si fa concavo e convesso, cantore del “socialismo” e del “liberalismo” nella stessa frase, “progressista” e “popolare”, ovviamente “europeista”, ammicca a FI prospettando il proporzionale (“Ma se crede che noi siamo l’amante meno schizzinosa, che accetta quel che Renzi scarta, il premier sbaglia di grosso”, sentenzia l’azzurro Giorgio Mulè), e però al dunque non accantona del tutto la tentazione del voto anticipato. Se ne sono accorti anche i parlamentari renziani: i quali, contattati dagli ambasciatori del premier, si sentono rivolgere proposte che prefigurano, al tempo stesso, “un gruppo parlamentare contiano per garantire il prosieguo della legislatura” e “una lista elettorale competitiva già nei prossimi mesi”. E qui no, neppure il Pd seguirebbe forse l’avventurismo del premier. 

 

E allora non è un caso che c’è chi, a dispetto delle dichiarazioni di queste ore, nel Pd pensa alla riconciliazione. “Non chiudiamoci gli spazi di dialogo, non facciamo falli di reazione”, diceva ieri il senatore Francesco Verducci. E Graziano Delrio, che il pantano parlamentare lo conosce bene, il suo discorso in Aula lo ha concluso citando l’importanza dei costruttori di ponti, come a dire che se l’appello per rafforzare il governo è alle forze europeiste, sarebbe difficile escludere Iv. E Filippo Sensi, le parole del suo capogruppo le ha commentate con  Dag Hammarskjold: “Merita il potere solo chi ogni giorno lo rende giusto”. Bizzarro: la citava spesso  Renzi, quella frase. Nei venti giorni di passione che s’aprono oggi, qualcuno forse se lo ricorderà.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.