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C'è lo studio Alpa, un po' di Cina e molto Vaticano, dietro la caccia ai responsabili per Conte

Fantetti, il fondatore del "partito di Conte", fu eletto in Senato grazie al contributo del leghista Picchi. Ma oltre al folklore, c'è di più. C'è tutto un mondo, romano e non solo, che tesse la trama di protezione del premier, in vista del voto in Aula di martedì e non solo

Valerio Valentini

Le telefonate per conto dell'avvocato Di Donna, allievo del mentore del premier e grande esperto di rapporti italo-cinesi. Poi prelati e generali della Finanza amici di Vecchione. Il simbolo di "Insieme" che riprende quello dei cattolici di Zamagni. Ecco chi sta contribuendo alla costruzione del partito di Giuseppi

C’è il folklore, certo. C’è il fondatore del “partito di Conte”, “Italia23”, che è un senatore eletto col contributo della Lega. Raffaele Fantetti se l’è infatti guadagnato grazie al Carroccio, lo scranno. Per gli italiani all’estero, col Cav. e la Meloni, Salvini aveva un patto: un certo numero di candidati a testa. E allora il salviniano Guglielmo Picchi, che di Fantetti era amico, fece la pensata: candidati con FI, ma  alla prima occasione  passi con noi. E di quell’idea, poi abortita, restano i volantini in cui il volto di Fantetti, romano residente a Londra, lo stesso volto che ora sponsorizza il leader "punto fortissimo di riferimento dei progressisti", sta insieme a due candidati leghisti, Billi e Codoro.


C’è il folklore, si diceva. Ma c’è di più. Perché dietro alla caccia ai “costruttori”, nell’articolata trama di relazioni e di  consuetudini, nel riecheggiare del solito “ah fra’, che te serve?” su cui si fondano spesso i cambi di maggioranza, si muovono personaggi assai meno pittoreschi. Il mentore supremo di Giuseppe Conte, il professor Guido Alpa, ha attivato i suoi contatti. E così almeno due senatori in odore di responsabilità si sono sentiti chiamare da intermediari che agivano, dicevano, per conto di Luca Di Donna, avvocato che riceve al numero 6 di piazza Cairoli,  nello stesso stabile in cui ha sede lo studio legale del maestro di Conte, e che ha una discreta fama anche dentro i corridoi della Sapienza, dove insegna Diritto privato europeo, essendo grande animatore dell’Istituto italo-cinese. Per questo nell’aprile del 2019, ancora in epoca di grilloleghismo, s’imbarcava per la Cina insieme al premier, di cui è grande amico, per andare a inaugurare la sede dell’Istituto a Wuhan, dove presiede  un corso di laurea, mentre Conte era impegnato a Pechino nel forum sulla Via della Seta. E il nome di Alpa se l’è sentito fare anche un deputato renziano, avvocato, contattato dal presidente dell’ordine forense della sua provincia: “Sa, il caro professor Guido è un amico in comune”.

 

Dei tre senatori eletti sotto il simbolo dell’Udc, almeno due si dicono pronti, nei conciliaboli riservati, a completare la traversata che li porterebbe a stringere la mano del giurista di Volturara, facendo così salire l’asticella della responsabilità verso la soglia fatidica della maggioranza assoluta di 161. Loro ci starebbero pure, dicono. E però Lorenzo Cesa, che dello scudo crociato è il detentore, resiste, recalcitra. “Nonostante — raccontano — si sia mosso perfino un generale della Guardia di Finanza”. Finanzieri per Conte, insomma, come quel Gennaro Vecchione che di Conte è uomo fidatissimo, ed è a capo dei servizi segreti? “No no, non Vecchione in persona. Però un amico, un conoscente”.

 

E un po’ tutti i responsabili arruolabili, con accenti e con toni diversi, si sono sentiti fare discorsi simili: che cioè l’impegno in favore del premier non starebbe solo in un tasto da schiacciare martedì prossimo, quando Conte dovrà affrontare il rodeo di Palazzo Madama. “Ma è l’inizio di un percorso”, insomma l’atto fondativo di un possibile partito di stampo progressista, moderato e ovviamente cattolico. E la benedizione del Vaticano, scontata visto il passato dell’“avvocato del popolo” nella cantèra di Villa Nazareth, starebbe perfino nelle suggestioni che ruotano intorno al nome del  partito di Conte. Perché “Insieme”, di cui tanto si parla, è un simbolo già ideato nell’ottobre scorso dall’economista Stefano Zamagni, presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali, con l’ambizione di riunire tutti i cattolici in un’unica forza politica. Che possa essere guidata da Conte? Questo se lo son sentiti dire due senatori forzisti di fede carfagnana da un prelato che s’era attivato, pare, su supposto mandato di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio.

 

“E’ Conte la scommessa di quel mondo cattolico”, ci dice  Gianfranco Rotondi, grande esperto di trame democristiane. Ce lo dice a tarda sera, al termine di un pomeriggio in cui il suo cellulare è sempre occupato. A caccia di responsabili? “Macché”, ci risponde Rotondi. “Il punto è che da quanto s’è sparsa la voce che io sarei il regista del ‘partito di Conte’, è un continuo stalking. L’ultimo era un primario di un ospedale lombardo. Gli ho dovuto dire di rivolgersi altrove”. A Conte? “No. Conte deve pensare alla sfida di martedì. Poi, per il suo partito, ci sarà tempo”.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.